MATTEO E LO SCEMO DEL PAESE (ovvero: serve benzina!)

Devo cominciare questo scritto con una storiella. Inventata. O forse no.
Diciamo… allegorizzata.

Un tizio aveva una bella automobile. Un giorno, la splendida vettura rifiutò di avviarsi. Vennero chiamati diversi meccanici, per individuare il guasto e produrre un preventivo, ed ognuno di essi condusse le proprie analisi. Per uno era un problema di fasatura delle valvole. Per un altro bisognava intervenire sull’albero a camme, consumato. L’elettrauto sostenne che era necessario cambiare le candele e regolare le punterie. Il carburatorista, ovviamente, dette la colpa al carburatore, e perfino un carrozziere disse la sua, proponendo dei ritocchi per migliorare l’aerodinamicità. Uno dopo l’altro, si succedettero diversi esperti, ciascuno con la propria diagnosi, ciascuno con la propria proposta risolutiva. Incuriosito da questo via vai, arrivò lo scemo del paese, e mentre i vari luminari discutevano con il proprietario della macchina, lui sedette a bordo, girò la chiave lasciata inserita nel quadro, vide un po’ di luci accendersi e qualche lancetta spostarsi, tranne una, che restò perfettamente ferma, ed esclamò: – Ehi, per forza non parte: qui non c’è benzina!

Esistono due possibili interpretazioni per questo aneddoto, fra l’altro abbastanza simili fra loro.

La prima è che il proprietario non si fosse accorto di quello che persino lo scemo del paese era riuscito a capire subito, dimostrando così che, forse, un tantino idiota doveva esserlo anche lui. Ma, trattandosi della vittima, evitiamo di sparare sulla croce rossa. È sugli esperti che mi chiedo: erano davvero convinti di quello che dicevano, quindi incompetenti e a loro volta altrettanto imbecilli, o, resisi conto della stupidità del loro potenziale cliente, stavano cercando di guadagnarci su qualcosa?

La seconda spiegazione è altrettanto demenziale… ma, d’altro canto, essendo demenziale la storia, dubito se ne possa trovare una chiave di lettura intelligente. Può darsi che sia il proprietario, sia i vari meccanici, elettrauto, carrozzieri e quant’altro fossero perfettamente al corrente della mancanza di carburante, ma che fossero convinti, chissà come, di poter aggirare il problema intervenendo sui vari organi della vettura. Cioè, magari, la macchina in esame aveva davvero delle rogne alle valvole, alle candele, all’aerodinamica ecc. L’assurdità della questione era che tutti pensassero, o almeno sperassero, che, risolvendo quelle magagne, l’auto si rimettesse comunque in moto. Per qualche insondabile motivo (almeno per il momento, più avanti capiremo perché), nessuno voleva adottare la soluzione più semplice, più lineare, più logica: mettere benzina. Anche in questo caso, semplice idiozia, o colpevole, ipocrita e truffaldino comportamento da parte dei protagonisti?

Non so che dire. O meglio, un’idea io ce l’avrei, ma credo sia meglio tacerla per evitare possibili querele. La legge non sempre tutela i giusti e punisce i disonesti. De Magistris insegna.

Al solito, la parola ai posteri.

Bene, Matteo, spero che tu la storiella l’abbia capita. Nonostante la somiglianza fisica con mr. Bean, hai dimostrato di avere un cervello che funziona bene. Non si conquista un 41% senza.

Spero tanto che le tue intenzioni siano davvero quelle su cui tenti di convincerci.

Sai una cosa? Io credo in te.
Davvero.
Ho bisogno di credere in te!
Ho bisogno… abbiamo bisogno di credere in qualcosa, in qualcuno. E il Signore Iddio assume impegni solo per l’aldilà.
Ti prego di non deludermi pure tu.

Già, “pure” tu…

Avevo creduto un po’ in Berlusconi, alla sua discesa in campo. Un manager con gli attributi al posto di politici corrotti ed incapaci che avevano portato alla fine della prima repubblica. Bella favoletta, vero? E non datemi addosso, per questo. Non sono stato mica l’unico a cascarci, e, come chiarirò più avanti, io sono scemo.

Avevo confidato, senza esagerare, in Tonino Di Pietro. Lo preferivo nelle vesti di magistrato, ma se lui sceglieva di proseguire la sua lotta alla corruzione in altri panni andava bene lo stesso… purché non rimanesse vittima della maledizione che quei panni sembrano portarsi dietro. Non è finita come speravo. La sua presenza nel panorama politico non è andata oltre le dimensioni di una folcloristica minoranza, ed il suo atteggiamento di ostentata indifferenza nei confronti di scandali più o meno grossi che interessavano lo schieramento che gli offriva una comoda poltrona di ministro, dando così ragione a chi parlava di “giustizia di parte”, aveva alla fine annullato tutta la fiducia che avevo riposto in lui. E la tanto vituperata corruzione ha continuato a prosperare.

Avevo poi creduto in Monti, all’inizio del suo premierato. Un cattedratico autorevole, preparato, tutt’altra cosa rispetto al “manager con gli attributi” che l’aveva preceduto, fissato con riforma della giustizia e bunga-bunga mentre il mondo intero, Italia compresa, sprofondava in una crisi senza precedenti. Poi dal suo cilindro uscì la riforma Fornero (una manna per tutti i governi che gli sarebbero succeduti, visto che da sempre le pensioni erano state nel mirino di quelli che l’avevano preceduto e che, incapaci di osare tanto, nel corso degli anni s’erano inventati scalini, scaloni, finestre ed altre stravaganze del genere per rosicchiare qualche fondo da quel capitolo senza perdere ogni possibilità di rielezione), e, interrogato sulle differenze di retribuzione di manager e lavoratori fra Italia e Germania, ne era uscito dicendo che i due dati non erano paragonabili poiché si riferivano ad anni diversi, dimenticando (?) di essere un signor economista che con questo tipo di problematica avrebbe dovuto giocarci tranquillamente (si chiama “attualizzazione”). Figuriamoci, andare a chiedere ad uno strapagato manager italiano se era giusto che un manager italiano (come, appunto, lui) prendesse, già quattro anni prima, il doppio dello stipendio di un suo corrispondente tedesco! Alla faccia dei risultati, per giunta. Ricordo, inoltre, un aneddoto, che lo riguarda, allorché confessò, in un’intervista, che quando insegnava all’università e vi si recava in pullman, il suo incubo peggiore era di fare tardi per colpa di qualche sciopero. Senza pensare che, quelli che lo spaventavano, erano a loro volta più atterriti di lui, e non di fare tardi al lavoro. Di perderlo.
Così capii che neppure da quella falda sarebbe sgorgato niente di buono e risolutivo per la nostra povera economia.

Poi fu la volta di Grillo. Ah, Beppe, Beppe… Lui sì, parlava… beh, sbraitava bene. Gliele cantava in tutti i modi ai mangioni seduti in parlamento, dicendo le cose come stavano, e sventolando alto il vessillo del reddito di cittadinanza. Poi il fato volle che gli venisse offerta la chance per mettere pulizia e garantire a tutti i cittadini almeno un minimo per poter sopravvivere, e lui si rivelò per quello che era: un bluff. Nient’altro che un bluff. Eh già, facile parlar male degli altri, specie se tali “altri” il “parlar male” se lo guadagnano senza ritegno giorno per giorno. Meno facile prendere il loro posto e far funzionare bene le cose. Reddito di cittadinanza? Ma se poi sosteneva che non c’erano i soldi nemmeno per la miseria dei tuoi ottanta euro!

Niente da fare, anche stavolta avevo puntato sul cavallo sbagliato.
Capita.
C’è gente, in giro, che aveva creduto in Vanna Marchi!

Ora tocca a te.
Non senza alcun, legittimo (consentimelo), dubbio. Anche in virtù delle precedenti esperienze con cui mi sono scottato, di cui ho appena parlato.
Ah, un curioso(?) particolare: nonostante il mio dna comunistoide, non ho mai confidato in nessuno del PCI prima (vabbe’, Berlinguer, tanto tempo fa, ma quella è preistoria), dei DS poi, e del PD ora, tantomeno di qualcuno dei partiti limitrofi (Rifondazione, SEL, figuriamoci del PSI!)…
… eccetto te, che tanto sinistrorso, alla fine, non mi sembri proprio. Il che (purtroppo) rappresenta un buon segno.
Diciamo che, finora, ho apprezzato un buon ottanta per cento di quello che hai detto. In fondo, nelle vesti di rottamatore, sostenevi più o meno le stesse cose che affermava Grillo. In maniera certo molto più soft, d’accordo, ma il senso mi era parso quello. E soprattutto, adesso, la cosa che più mi spinge a credere in te è appunto il fatto che tu abbia tutto il PD contro. Un particolare che depone decisamente in tuo favore.
Capisco pure che, nel quadro attuale (e probabilmente anche in uno futuro), non ti sarà facile realizzare tutto ciò che (forse… spero…) hai in mente, con addirittura un presidente della repubblica che, alla faccia dell’etichetta “comunista” di cui in passato si era fregiato, arriva a frenarti nel momento in cui stai per effettuare quei tagli che un paese in ginocchio attende da tempo, per una questione morale più che strettamente finanziaria…

Ma non metterti pure tu a fare il meccanico truffaldino.

È un gioco che non hai inventato tu, è vero. Ma portarlo avanti non gioverà a nessuno.

La nostra Italia è una macchina che non cammina, si sa. E al suo capezzale sono in tanti a suggerire soluzioni sofisticate se non fantasiose: valvole, punterie, alberi a camme… pur sapendo che il serbatoio è vuoto.

Le riforme, prima di tutto. “Riforme”: sembra quasi una parola magica, come abracadabra (qualche anno fa andava di moda la “competitività”). La pronunciano tutti: Napolitano, Berlusconi, l’Europa (cioè la Merkel), tu…

Ma di che cacchio si parla, in realtà?

Riforma della legge elettorale? E che c’azzecca, per dirla alla Tonino, con la ripresa economica? Abbattimento della burocrazia? Sì, sacrosanto, è come buttar giù un muro che si para davanti al muso della nostra macchina, e le impedisce di andare avanti. Solo che la macchina è ferma perché senza benzina, ricordi? Riforma del lavoro, con l’abolizione dell’art.18? Non dirmi che credi anche tu alla favoletta dei destrorsi secondo la quale consentire licenziamenti senza giusta causa agevoli le assunzioni e non i ricatti e le espulsioni! Riforma della giustizia? Sì, può servire, come migliorare l’aerodinamica della carrozzeria, così se e quando la macchina si riavvierà consumerà meno e andrà più veloce…

Ma intanto, per farla partire?

Investimenti, ed assunzioni: sono altre due parole magiche pronunciate di continuo. Giusto, come no?, giustissimo… investire risorse, ed assumere lavoratori, per produrre beni…
… che nessuno compra già adesso.
Il mercato è fermo, aziende centenarie, forti di esperienza, risorse, capacità produttive, prestigio, chiudono e licenziano perché ciò che producono resta a marcire nei magazzini… e si chiede ad altri temerari di investire e assumere e produrre altre giacenze?

Al cospetto di tanti luminari, lo scrivente è certo equiparabile allo scemo del paese. Scemo, però, che vorrebbe dire la sua.

Lo scemo dice: serve benzina.

Per far camminare una macchina, serve combustibile. Corrente, se la macchina è elettrica. Vento, se è un veicolo a vela. Buone gambe, se è un velocipede. Tutto il resto può migliorare la sicurezza, le prestazioni, l’efficienza. Ma per farla funzionare, andare avanti, serve il carburante.

L’Italia, che tipo di macchina è?

“… è una repubblica fondata sul lavoro”, recita il primo articolo della costituzione. Qualche tempo fa, l’onorevole Brunetta aveva proposto di riscriverlo, sostituendo il termine “mercato” alla parola “lavoro”. Una proposta obbrobriosa, offensiva, squallida, e perfettamente sensata, perché la realtà è questa: il lavoro c’è se c’è mercato, a meno di non voler credere che una nazione possa andare avanti con attività di tipo hobbistico.

E qual è il carburante di una macchina tipo “mercato”?

I soldi.

Soldi. Che circolano. Che vengono spesi. Che escono da un portafogli e finiscono in una cassa. Che forniscono il motivo per produrre qualcosa, i fondi per farlo, e quindi la necessità di impiegare manodopera.

Riforme, investimenti, semplificazioni, legalità… sono tutti termini per esperti, con certamente la loro utilità, ma come accessori, come i sedili, lo sterzo, l’aria condizionata e lo stereo. Come l’intercooler.

Lo scemo ragiona in termini molto più elementari. Se ho i soldi per comprare qualcosa che mi serve, o semplicemente mi piace, la compro. Se no, non la compro. Punto.

Scoraggiante, nella sua banalità, vero?

Ma, nonostante sia un ragionamento da scemi, sono convinto che descriva perfettamente il meccanismo di cui stiamo parlando.

Il mercato, quello che nell’attuale sistema genera lavoro (nessuno qui vuole fare il comunista, vero?), si basa sullo scambio di merci e servizi. E poiché il baratto è uscito di moda da un pezzo, il processo, per funzionare, usa un misuratore di valore: il denaro. Se cedi un prodotto, in pratica, ricevi in cambio non un bene di valore corrispondente, ma un “titolo” rappresentante tale valore che ti permetterà di “acquistare” quel bene in un secondo tempo, cedendo detto titolo a qualcun altro che lo userà nello stesso modo con un altro fornitore, e così via. Beh, almeno, dovrebbe funzionare così. Funzionava così, prima dell’invenzione della finanza. Secondo questa, il denaro può essere usato come gli zecchini di Pinocchio: li pianti nel campo dei miracoli… ehm, volevo dire Wall Street (o similari), e aspetti che domani cresca un albero con tanti bei soldini appesi ai rami. Il bello (?) è che oggi mezzo mondo la pensa così, e una grossa fetta delle risorse monetarie viene seppellito in questo modo, a quasi totale ed esclusivo vantaggio di broker e banchieri dai compensi da favola.

Nonostante l’attuale crisi sia nata proprio dal malfunzionamento di questo meccanismo!

Ma torniamo a bomba.

Il mercato, quindi, dicevo, si basa sullo scambio fra beni e titoli (denaro), da parte di offerenti ed acquirenti. Ora, supponiamo che oggi ci siano disponibili, in offerta, beni per un valore di mille titoli. Sembra ovvio che, se da parte degli acquirenti c’è una disponibilità di almeno mille titoli, esiste la possibilità che i beni offerti vengano piazzati tutti. In questa ipotesi, gli offerenti faranno in modo di produrne altri. Chissà, magari anche qualcuno in più, se la previsione di poterli smerciare risulta abbastanza realistica. In ogni caso, finché venderò per mille, produrrò ancora almeno altro mille. Per ottenere ciò dovrò fare nuovi investimenti, e dare la possibilità a qualcuno di lavorare per realizzare quanto programmato. Mantenendo un preesistente rapporto lavorativo, e magari facendo ulteriori investimenti, ed assumendo altre persone, se si pensa di aumentare la produzione, dando per verosimile la prospettiva di piazzare la merce prodotta in quantità maggiori.

E questo vuol dire che gli investimenti si fanno, ed il lavoro si crea, se si riesce a vendere, non se si riesce a licenziare. Così come fare investimenti, e creare lavoro, senza un mercato capace di assorbire quanto prodotto, non è semplice utopia, è follia!

Al contrario, supponiamo (e magari si trattasse solo di una supposizione) che quei mille titoli non siano nella disponibilità dei potenziali acquirenti. È abbastanza ovvio prevedere che, in questa circostanza, solo parte del prodotto riuscirà ad essere piazzato, a prescindere dalla volontà e dalle necessità di chi dovrebbe acquistare. Diamo qualche numero per esempio. Diciamo, resta invenduta una quantità di prodotto corrispondente a cento titoli. Se l’offerente vede che è riuscito a piazzare merce per novecento, eviterà di offrire nuovamente una quantità corrispondente a mille. Offrirà, al massimo, novecento. E poiché cento li ha già in giacenza, produrrà per ottocento. Per produrre ottocento, avrà la necessità di investire meno che per produrre mille, e avrà bisogno di manodopera minore. Altro che assumere, quindi! Piuttosto, licenziare. Magari, senza i vincoli dell’art.18. Il guaio è, però, che il lavoratore che produce quel bene, tipicamente, fa parte anche della categoria dei potenziali acquirenti di quello e di altri beni. Categoria che, perdendo reddito, perde anche disponibilità, e quindi capacità di acquistare. Così in giro ci saranno meno dei novecento titoli del giorno precedente. Di conseguenza, anche dopo aver ridotto la produzione, altri beni resteranno invenduti. Il che richiederà un’ulteriore riduzione della produzione, quindi di investimenti e di lavoro. Una reazione a catena che anche lo scemo del paese è capace di indovinare a cosa porterà.

Qualche lettore obietterà che questa lezione, fra l’altro, forse, anche un po’ confusa, me la potevo risparmiare. Sappiamo tutti come funziona il mercato.

Già, tutti.

Tranne l’Europa, il presidente del Consiglio, il presidente di Confindustria, i sindacati, ministri, sottosegretari, segretari di partito… Neppure Draghi sembra tanto ragguagliato sulla questione. Tutti meccanici super-esperti e super-informati. Nessuno capace di dire che serve benzina per far andare avanti la macchina, tutti a caccia di soluzioni fantasiose destinate a non risolvere niente. Tutti a spacciare per causa i possibili effetti. Maggiori investimenti e maggiori assunzioni possono essere l’effetto della ripresa, non la causa. Investire di più, assumere altra gente, e produrre beni che il mercato non è in grado di assorbire non è soluzione, è suicidio.

Serve benzina.

Servono soldi. Da trovare da qualche parte, e rendere disponibili sul mercato, lato acquirenti.

Altri tipi di intervento sono inutili, alcuni persino dannosi.

Bisogna riempire il serbatoio.

Già.

Ma come?

Stamparne a volontà e buttarli per strada? Impossibile, diventerebbero carta straccia, azzerando anche il valore di quelli buoni. .

Quindi?

Secondo lo scemo del paese (che in questo momento sarei io, ma dubito di essere il solo a pensarla così), la risposta consiste nel ridistribuire in maniera più equa, più giusta, e più efficiente, la ricchezza disponibile. Pare che oggi, in Italia, il dieci per cento della popolazione possegga quanto posseduto dal restante novanta. Questo significa che il cinquanta per cento delle ricchezze disponibili deve servire, oltre a foraggiare uno Stato sempre più ingordo, costoso ed inefficiente, a far marciare l’economia per circa sessanta milioni di persone, mentre l’altro cinquanta per cento può soltanto far ingrassare le banche (preferibilmente estere). Perché uno che percepisce stipendi milionari difficilmente riesce a spendere tutto quello che incassa (in questo caso, sarebbe un benemerito contribuente nel funzionamento della “macchina mercato”), e per forza di cose deve rivolgersi a qualche istituto di credito che gli tenga al caldo i suoi beneamati eurucci. O pensiamo di conservare un po’ di milioncini sotto il mattone o nel materasso?

Ora, ci sono persone che quei milioni, persino quei miliardi, se li guadagnano producendo e piazzando beni per quegli importi. Possiamo parlare di Bill Gates, Mark Zuckerberg, Julia Roberts, Bruce Springsteen, Stephen King, Silvio Berlusconi (perdonatemi, ma è il primo nome italiano che mi viene in mente), Giorgio Armani, Zucchero… Tutta gente che vive di mercato, e che sottostà alle sue regole. Che, quando va bene, possono renderti miliardario, ma se va storto ti portano a dormire sotto i ponti. In un sistema comunista (ben funzionante) le cose potrebbero andare un po’ meglio, a mio (dello scemo del paese) modesto avviso, ma credo che di comunismo, oggi, si voglia parlare solo nelle favole per bambini, assieme ad orchi, streghe ed uomini neri.
In casi del genere, non c’è alcuna possibilità di intervenire. Né, dopotutto, alcun motivo. Al limite, potrebbe essere giusto tassare in maniera congrua redditi sfacciatamente stellari, perché non è moralmente giusto che una famiglia debba campare con ottocento euro al mese, e qualcuno abbia la fortuna, oltre alle capacità, di guadagnare quella cifra in un paio d’ore. Capacità derivanti a loro volta da una fortuna che non tutti hanno avuto: anche io sto cercando da una vita di fare lo scrittore, ma nonostante i miei sforzi non sarò mai uno Stephen King, perché non ho il suo talento. E poiché non mi risulta che King abbia seguito corsi di scrittura particolari, ai quali altrimenti correrei subito ad iscrivermi, a qualunque costo, l’unica spiegazione che mi viene in mente è che lui, alla nascita, abbia avuto un culo che a me è mancato, venendo al mondo dotato di quel dono. Ma qui si innesca un discorso, quello delle tasse, che al momento è meglio evitare. Non mettiamo troppa carne sul fuoco.

Ah, una breve nota che c’entra poco o niente con l’argomento… o forse è perfettamente in tema? Nell’elenco di milionari di cui sopra, ho volutamente evitato di mettere il nome di un calciatore, a mio avviso una stortura mondiale offensiva della miseria… al pari dei compensi di personaggi come Marchionne o Montezemolo, come tanti altri manager di lusso strapagati in maniera inverosimile comunque vadano le cose (non mi risulta che il presidente della Volkswagen prenda più del celeberrimo pulloverato).

Attenti, però, anche in un sistema capitalistico, quello fondato sul mercato, la regola funzionante è: tu produci un bene che vale cento, e dalla sua cessione incassi cento. Non puoi incassare cento, e produrre zero. Non puoi incassare mille, e causare perdite per centomila. E poi sarebbe assurda la mia storiella!

Questa regola è applicata rigorosamente nel caso di nomi come quelli che ho fatto prima (dei quali, come canta Morandi, solo uno su mille ce la fa), mentre è elusa anche troppo spesso nel caso di individui che non producono direttamente qualcosa, ma che a vario titolo gestiscono e guidano le aziende che lo fanno, di cui non sono proprietari, ma semplici impiegati (di lusso). Perlopiù nel settore pubblico, ma talvolta anche in quello privato. E questo non può che portare al fallimento del sistema. Credo ne sappiamo qualcosa, vero?

Ora, il problema grosso, quello vero, quello che blocca la soluzione della crisi, impedendo alla macchina di tornare a muoversi, è che una ragguardevole fetta dei soldi che servono sono reperibili principalmente da una fonte: le tasche dei meccanici incaricati di rimettere in moto la macchina Italia.

Sfido che propongono solo di intervenire su valvole, punterie e carburatori!

Dalla tua tasca, Matteo. Da quella del presidente Giorgio Napolitano. Da quelle di manager superpagati e superpremiati a prescindere dai risultati delle loro gestioni, che tu e i tuoi colleghi politici scegliete fra i vostri amici e piazzate alla guida di strutture che potrebbero produrre ricchezza e invece causano (all’intera comunità) perdite per cifre astronomiche, o di enti che servono esclusivamente a sperperare denaro pubblico… e lì il lavoro viene svolto in maniera più che egregia. Dalle tasche di parlamentari, consiglieri, sindacalisti, pagati mille volte più di quello che riescono a produrre. Pagati e strapagati anche quando provocano danni, sperperi e perdite evidenti persino agli occhi dello scemo del paese… ma invisibili agli occhi dei dottoroni che hanno in mano le sorti del Paese.

Hollande, in Francia, appena insediatosi, ha ridotto del 30% lo stipendio suo e dei suoi ministri (che già prendevano meno di un semplice parlamentare italiano, pur guidando un paese ben più grande dell’Italia). Certo, come gesto può essere considerato poco più che simbolico, ma un provvedimento del genere in Italia avrebbe se non altro offerto alla classe politica un po’ di credibilità agli occhi di una popolazione messa in ginocchio da tagli, tasse e sacrifici vari, e costretta ad assistere invece allo spettacolo di un parlamento che non solo non si riduce di un centesimo compensi e privilegi, ma pare arrivi addirittura ad aumentare lo stipendio del capo dello stato… che, giustamente, si mette in allarme quando ti metti a farneticare di tagli alla politica.

Già, credibilità.
In cambio di bei soldoni.
Ma siamo ammattiti?

Tanto, a chi altri devono votare?

Specie ora che s’è bruciato pure Grillo!

Si tratta di intervenire su stipendi fiabeschi, pensioni d’oro, spese di rappresentanza folli. Su armamenti. Su costi insostenibili per portare la democrazia dove la democrazia non la vuole nessuno, dove se liberi una minoranza dall’oppressione di un’altra minoranza quella si mette ad opprimere e sterminare le altre. Anche su aiuti all’immigrazione, che non fanno altro che incoraggiare altri esodi ed altri suicidi di massa, ed offendere chi, in Italia, nella sua Patria, vive nell’indigenza più profonda. Su sprechi inaccettabili ed ingiustificabili.

Quella degli ottanta euro è stata un’idea strepitosa. L’avevo vista come un primo passo verso la soluzione vera del problema. “Era” un primo passo, checché ne dicano i suoi detrattori, probabilmente intimoriti dalla prospettiva di vederti fare i tagli di cui ho detto prima per reperire altri fondi. Napolitano in testa, che ti “raccomanda” di non esagerare.

Un “primo” passo.

Ma bisogna proseguire, a meno di non pretendere di curare una broncopolmonite doppia con una pillola di aspirina.

Un primo passo che non ha dato i risultati voluti. O, perlomeno, ha prodotto risultati poco evidenti. Intanto perché, anziché essere immessi sul mercato, una buona parte di essi sono tornati, o stanno per tornare, al mittente sotto forma di vecchie e nuove tasse. O di nuovi aumenti di bollette. Stupenda la Tasi, al posto dell’IMU sulla prima casa, che viene a costare più di quanto costasse la precedente, con buona pace dell’ex cavaliere che in fin dei conti il suo risultato propagandistico l’ha ottenuto (aveva promesso di abolire l’IMU sulla prima casa, mica la Tasi!), e che si aggiunge all’IMU, non abolita, sulla seconda casa. Seconda casa che in molti casi non è indice di particolare ricchezza, tipo il vecchio rudere in paese ereditato dai propri vecchi e che nessuno vuole manco regalato, o la casetta per le vacanze, acquistata magari per investimento, mentre si è impossibilitati a comprare la casa in città ove si risiede (in affitto) per i suoi prezzi proibitivi. Perfetto pure l’aumento dell’IVA… Ma c’è da dire che, senza quegli ottanta euro in busta paga, probabilmente la crisi si sarebbe aggravata ulteriormente, grazie a questi balzelli che sarebbero venuti fuori comunque, sottraendo altra disponibilità al sistema mercato…

Il fallimento dell’operazione è dovuto, verosimilmente, a due fattori. Il primo, l’esiguità dell’intervento. Come ho detto prima, non basta un’aspirina per una polmonite. Il secondo, la sua inaffidabilità. Mancando di coperture certe, molti hanno temuto che sarebbero tornati a casa sotto forma di nuove tasse. Si sono sbagliati? Così, anziché finire ad incrementare scambi commerciali, son rimasti sotto il mattone, per i giorni di pioggia che non sono certo mancati, e non sono certo finiti. E anziché dare ossigeno, o benzina, ad un mercato asfittico, si sono trasformati in una specie di partita di giro: io do un euro a te, e tu dai un euro a me. Così tu ti becchi il 41% alle europee, e noi ci ritroviamo come sempre in braghe di tela.

Ma se le coperture ci fossero state realmente, sicure, garantite?

Se il discorso fosse stato: oggi paghiamo trecento il capo dello stato, duecento ministri e parlamentari, centocinquanta il barbiere di Montecitorio, seicento il capo della polizia, il presidente dell’INPS, della RAI, dell’Animaccia Nera Dei Stramortacci Tuoi, duecento gli amministratori regionali, altrettanto i consulenti, i direttivi di controllate, partecipate, municipalizzate ecc. ecc.; da domani, duecento al capo dello stato, centoventi a ministri e parlamentari, settanta al barbiere e così via con altri tagli proporzionali, ed il risparmio realizzato sarà distribuito sotto forma di pensioni e stipendi più congrui, o come reddito di cittadinanza a chi non lavora (venti euro al mese? Sarebbero venti euro in meno a marcire in una banca a far pascere bancari e speculatori, e venti euro in più immessi nel mercato ad incentivare la produzione di un chilo di pane, un comodino, un paio di calze in più e magari a spingere all’assunzione di chi dovrà produrre quel pane, quel comodino, quelle calze in più)…

Soldi sicuri, garantiti, non fittizi e destinati a tornare all’ovile sotto altra forma?

SOLDI VERI?

Chi oggi non arriva a fine mese, cosa farebbe di quei soldi, non avendo più il timore di doverli restituire? Li metterebbe in banca, o ci camperebbe quell’altra settimana in più che mancava all’appello, andando ad incrementare la disponibilità della parte acquirente nel sistema mercato? Dando una mano al mercato, e quindi al lavoro, senza bisogno delle misure non convenzionali più volte prospettate da Draghi (che sto aspettando di vedere e di capire di che si tratti… e quale efficacia avranno sullo stallo di mercato ed occupazione), o delle riforme che vai sbandierando da quando sei a Palazzo Chigi?

Perciò, Matteo, non metterti a fare pure tu il superesperto per gonzi. Non preoccuparti dell’intercooler, dell’aria condizionata, delle cinture di sicurezza, dei tappetini gommati e del deodorante. O meglio, occupati pure di questo, ma non spacciarlo come la manovra necessaria e/o sufficiente per far ripartire la macchina.

Ci vuole benzina. Punto.

Non esistono soluzioni alternative. E lascia in pace quell’articolo, che in qualche modo garantisce sonni più o meno tranquilli ad una parte dei lavoratori. Di serie A? Giusto. Ma chi ci guadagna, facendoli diventare tutti di serie B? Come credo di aver già dimostrato prima, non di certo il mercato. Quindi il lavoro. Quindi la famosa repubblica che su questo sarebbe fondata.

Continua con l’operazione che hai incominciato con i famosi ottanta euro e trova i soldi per andare avanti. Soldi che ci sono, eccome se ci sono (fra un venti abbondante di IVA, ed un minimo trenta per cento di IRPEF, lo Stato si becca circa la metà di quanto viene prodotto nel Paese, e se si pensa che molti – non tutti, ovviamente – fornitori non vengono neppure pagati, per qualcosa come circa settanta miliardi di euro, sarebbe lecito o no chiedersi dove cacchio vanno a finire tutti ‘sti soldi?), ma che vengono spesi in maniera sbagliata. Trova i soldi, e distribuiscili in giro. Avrai così un mercato funzionante ed affamato di manodopera, che ispirerà investimenti e necessiterà di assunzioni.

Una soluzione potrebbe essere il reddito di cittadinanza di cui parlava l’amato-odiato Beppe. Per sei milioni di disoccupati (la stima peggiore che sono riuscito a trovare su Internet), un reddito di diecimila euro l’anno, circa ottocento al mese, costerebbe sessanta miliardi. Una bella cifra, non c’è che dire. Perché non provi a chiedere all’amico… pardon, nemico Beppe dove contasse di trovarli? Magari, in mezzo a tante stronzate, potrebbe anche scapparci qualche suggerimento utile.

Sono anche vere, però, due cose. Primo, visto che, come ho detto prima, con l’attuale tassazione, circa la metà di quello che spendiamo dei nostri redditi torna allo Stato, questo, solo fra IVA ed IRPEF (sui maggiori guadagni dei venditori dei beni acquistati dai beneficiari del provvedimento), vedrebbe recapitarsi subito indietro una buona trentina di quei miliardi (dubito che con ottocento euro al mese possano esserci margini per depositi bancari), dimezzando l’effettivo costo dell’operazione. Secondo, con tutta questa marea di miliardi immessi sul mercato, la parte offerente si vedrebbe sommersa di richieste dalla parte acquirente, e sarebbe costretta, per far fronte alla domanda, ad investire ed assumere (effetto, non causa), riducendo per forza di cose il numero di disoccupati e quindi l’esborso necessario per sostenerli…

E… oh, meraviglia… la macchina sarebbe di nuovo in moto!

Peccato per quell’investimento iniziale necessario di sessanta miliardi … che, a fronte di un PIL di circa duemila miliardi, rappresenterebbe il 3% del totale. Che però, contabilizzando il rientro detto prima dei trenta miliardi già in tassazione diretta, alla fine diventerebbe circa l’1.5%. Sarebbe come chiedere all’Europa: per un annetto o due, possiamo sforare del quattro virgola cinque anziché del tre? Guardate che potremmo guadagnarci tutti… senza contare che la ripartenza del mercato provocherebbe l’aumento della produzione e quindi del PIL, e di conseguenza (aumentando il denominatore), diminuirebbe il rapporto deficit/PIL, facendoci magari rientrare presto nei parametri desiderati…

E, questo, volendo mantenere l’attuale stato di sprechi e privilegi della casta. Risparmiando anche su queste voci, la cosa diventerebbe ancora più fattibile, e la ripresa ancora più rapida.

Ma non è l’unica soluzione possibile. Per fortuna, perché dubito che la Merkel sarebbe disposta a venirci incontro… specie se non si volesse rinunciare alla voce sprechi e privilegi. Più che la Merkel, quell’altro… come si chiama? Il finlandese, quello antipatico…

Un’altra soluzione sarebbe di carattere tecnico, e qui lo scemo è in difficoltà, i dottoroni siete voi, i meccanici superesperti.

Mi pare che quella diavoleria si chiami “forbice salariale”. Sarebbe il rapporto fra lo stipendio più alto in un’azienda e quello più basso. Per esempio, se il meno pagato prende ottocento euro al mese, ed il suo manager ne prende ottomila, il valore corrispondente è dieci. Nel 1970, la misura di questa forbice era pari a VENTI. Un valore che ho trovato, in giro per Internet, per l’Italia, secondo un rapporto Fisac-Cgil, nel 2012, è 163. CENTOSESSANTATRE. Vuol dire che, in questi quarant’anni, la forbice si è moltiplicata per otto e qualcosa. Senza che questa ridistribuzione di salario abbia prodotto, mi pare, miglioramenti visibili al sistema (ci ha inguaiato, altro che!). Vuol dire che, a fronte di uno stipendio di ottocento euro per un sottopagato, c’è chi prende oltre centotrentamila euro. Al mese. Senza essere un famoso calciatore, o un illustre musicista internazionale. Producendo cosa, e quanto? Rispettando le regole del mercato (prendi cento se produci cento)? Manager e politici, hanno conseguito negli ultimi tempi risultati otto volte superiori a quelli che ottenevano quarant’anni fa?

Apro parentesi: dove erano i sindacati quando certi stipendi raggiungevano queste cifre, mentre quelli dei lavoratori venivano bloccati per anni? Per esempio, un Epifani, con la sua CGIL… cos’ha fatto per combattere simili storture?
Parentesi chiusa.

Comunque sia, ciò comporta che circa il cinquanta per cento del totale salari finisce nel dieci per cento dei… ehm, lavoratori, quelli ad alto costo, ed il residuo cinquanta va nel restante novanta. Questo significa che se si decurtassero del trenta per cento gli stipendi dei manager, quindi senza ridurre nessuno nell’indigenza, come ha fatto Hollande al suo insediamento per sé e i suoi ministri, si potrebbero aumentare del trenta per cento gli stipendi degli altri dipendenti. Significherebbe che, mentre chi oggi prende duecentomila euro all’anno dovrebbe adattarsi a sopravvivere con centoquarantamila (beh, dovrebbe farcela, voi che dite? Magari, con qualche piccolo sacrificio…), chi oggi percepisce mille euro al mese potrebbe incassarne mille e trecento. Chi guadagna duemila euro, arriverebbe a duemilaseicento. E questo applicando l’aumento in maniera lineare, senza correttivi (aumenti maggiori per gli stipendi minori e viceversa) che potrebbero migliorare ulteriormente la situazione. Stesse proporzioni, e stesso discorso, si potrebbe fare con le pensioni. Significherebbe portare, almeno, una pensione da seicento euro ad ottocento, senza affamare nessuno di quei poveri pensionati d’oro. E se ottocento euro al mese sono comunque una miseria, andate a chiedere all’interessato se li rifiuterebbe sdegnosamente. Oggi sarebbe felice di poter ricevere anche i tuoi stiracchiati ottanta euro in più.

Troppo il trenta per cento? Si potrebbe provare con meno, il venti… il dieci, e magari fare degli aggiustamenti successivi… delle messe a punto, come dite voi meccanici… potrebbe funzionare lo stesso, anche se, chiaramente, a velocità inferiore…

Non sto parlando solo di maggiore giustizia sociale. Sarebbero soldi SICURI, garantiti a vita, che non finirebbero sotto il mattone in attesa di venir restituiti come nuove tasse, ma che verrebbero SPESI in consumi. Immessi nel mercato. A costringere anche in questo caso la produzione ad attrezzarsi per fronteggiare le nuove richieste. Anche in questo caso…

Oh, meraviglia…

Parola di scemo.

Purtroppo, Matteo, a pagare il conto dovrebbe essere la tasca tua e dei tuoi colleghi meccanici. Come in gran parte vostre sono o saranno le pensioni d’oro che bisognerebbe sacrificare. Mi spiace (no, non è vero), ma non esistono altre soluzioni. Cioè, mi spiace davvero, ma solo perché, se così non fosse, la soluzione sarebbe stata già individuata, ed applicata, da tempo.

Se qui non c’è abbastanza, e non si può creare nulla, l’unico rimedio è spostarvi qualcosa da dove ce n’è di più. Specie se ce n’è molto di più.

L’alternativa, lo sappiamo, vero?, è la catastrofe.

Ah, le due misure sopra descritte, stipendio di cittadinanza e riduzione della forbice salariale, non sono esclusive l’una dell’altra, né di altre soluzioni che magari esistono e non mi sono venute in mente. Si potrebbero adottare anche assieme, con risultati, probabilmente, strabilianti. Se poi si riuscisse anche a mettere mano a corruzione ed evasione… altro che paese di Cuccagna!

Se tu invece continui a credere (?), e cercare di far credere, che tutto possa risolversi con formule astratte e diminuzione di garanzie per quella che è già la parte più debole del paese…

… beh, ci resta sempre la speranza di poterci affidare a Vanna Marchi.

Non vedo, nel panorama politico nostrano, altre persone degne di maggior fiducia.

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