Elsetta e Matteo

riforma Fornero pensioni (ovvero: la proposta di Salvini per le pensioni)

No, non Giulietta e Romeo, anche se ho voluto giocare con questa assonanza. Elsetta sarebbe Elsa Fornero, e Matteo non l’indisponente Renzi, ma il sagace Salvini, coadiuvato, in questo campo, addirittura dai grillini.

La prima, è noto, è la gentildonna che, forte del fatto che non si sarebbe mai candidata ad una elezione, ha posto fine agli esercizi edilizi dei precedenti governi (costruttori di scalini, scaloni e finestre), portando con un colpo solo l’età pensionabile a circa sessantasette anni tanto per cominciare, per poi salire ulteriormente con la scusa dell’aspettativa di vita, mettendo la faccia ad una delle leggi più odiate mai varate dai vari esecutivi, e salvando quella di altri personaggi, a caccia di voti, che si sono spesso espressi contro, senza mai fare nulla per cambiarla (chissà perché?).

Il secondo è il primo paladino contrario a questa riforma, che aveva persino promosso un referendum (bocciato dalla solita Consulta, di cui conosciamo bene i diversi misfatti) per l’abolizione della sopra citata legge.

Non nutro alcuna simpatia per nessuno dei due, ma, anche se mai lo avrei votato, in fondo al cuore stavo sperando in una vittoria del secondo, visto che sono una delle prime vittime di quella mai abbastanza maledetta innovazione pensionistica.

Ora arriva il chiarimento, su cui concorda persino il Movimento 5 Stelle: quota 41. Ovverosia: niente più limiti di età, ma LA POSSIBILITÀ DI ANDARE IN PENSIONE DOPO 41 ANNI DI LAVORO.

LI MOOORTACCI!!!, dicono a Roma.

Per me non cambierebbe niente, ho cominciato a lavorare all’età di ventisei anni, per uno stupido equivoco non mi sono riscattato gli anni di laurea quand’era fattibile, e all’età di sessantasette ne compirei esattamente quarantuno di servizio… altro che sconto! Ma ci pensate? Aver cominciato a lavorare a ventisei anni, nell’Italia di oggi, può essere considerato un privilegio, una fortuna per pochi. Mio figlio, di anni, ne ha trentadue, e finora non ha lavorato un giorno (e non ritengo che sia per colpa sua). Con la proposta di Salvini e Di Maio, se anche cominciasse a lavorare DOMANI, e riuscisse a farlo per il periodo richiesto senza soluzione di continuità, “potrebbe” andare in pensione all’età di settantatré anni! Per non parlare di quanti stanno peggio (e non è ancora detto che da questa categoria mio figlio resti escluso), che si troverebbero a dover versare per decenni corposi contributi previdenziali, senza la speranza di vedersi un giorno restituire un solo centesimo.

Un bel regalone all’INPS, altro che a noi poveri lavoratori.

Beh, almeno, adesso, in fondo al cuore, mi sono sgravato di quella orribile speranza.

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La Ragazza Dai Capelli Rossi – recensione

fantasma - ragazza dai capelli rossi È una casa signorile nell’America di fine ‘800. Gli abitanti, una piccola famiglia, padre, madre e figlia adolescente, e due domestiche. Gente normale, tranquilla. Eppure, qualcuno, non si sa chi e perché, sorveglia gli altri. Una faccenda davvero fastidiosa. Da subito, si sa che non è la cuoca. Poi si scopre che non è la cameriera, e che non è neppure la piccola. Infine, la spiona viene individuata, una ragazza dai capelli rossi. Ma chi è, da dove viene, come fa a entrare in casa? E perché, quando viene sorpresa, nasconde il proprio volto? Domande che, alla fine, avranno risposte impensabili, e inquietanti…

“La Ragazza Dai Capelli Rossi” è un racconto di Sabine Baring-Gould, tratto dalla raccolta ” A Book of Ghosts ” pubblicata a Londra nel 1904. È una storia di fantasmi vecchio stile (inevitabilmente, vista la sua datazione), che oggi potrebbe far sorridere, abituati come siamo agli effetti speciali e allo splatter che ai nostri tempi semplificano il compito di spaventarci. Qui è la trama che costruisce, lentamente, ma in un impietoso crescendo, un’atmosfera di mistero, di sgomento, fino alla raccapricciante conclusione finale. Un particolare che piacerà molto alle femministe più accanite riguarda l’unica figura maschile presente nella vicenda, descritto come un essere totalmente inutile, sciocco e insensibile. Tradotto per la prima volta in italiano, è disponibile nelle principali librerie on line (Kindle, Kobo, Mondadori Store, ecc.) in formato e-book, al prezzo indicativo di € 0.49.

Sabine Baring-Gould (1834 – 1924) è stato uno scrittore britannico molto prolifico. Si contano oltre 1200 sue pubblicazioni, e ancora oggi suoi inediti vengono scoperti e dati alle stampe come opere postume. Nonostante la sua professione di prete anglicano, sembrava particolarmente interessato al mondo dell’occulto e del sovrannaturale, sul quale pubblicò più di un’opera. In particolare, il suo “The Book of Were-Wolves” (Il libro dei Licantropi), del 1865, è uno dei testi di riferimento negli studi sulla licantropia.

Giuseppe Bauleo (1954 – ) è uno scrittore e traduttore italiano, attualmente a caccia di opere di autori famosi della letteratura fantastica anglo-americana inediti in Italia. Ha finora pubblicato sei romanzi come autore, di genere noir, fantasy e fantascienza, alcuni racconti e articoli, e opere di H.G.Wells, A. Conan Doyle, E. Wallace e altri tradotti per la prima volta nella nostra lingua. Al link
www.giuseppe-bauleo.it
è possibile consultare l’elenco completo e aggiornato dei suoi lavori.

Per leggere un’anteprima: https://www.kobo.com/it/it/ebook/la-ragazza-dai-capelli-rossi

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Numero Sei , di Edgar Wallace – recensione


Cæsar Valentine è un uomo ricco, attraente, intelligente… e, probabilmente, uno dei criminali più pericolosi al mondo. Sostiene di essere diretto discendente di Cesare Borgia, e, in effetti, pare abbia ereditato parecchie qualità dal suo illustre antenato. Scotland Yard sospetta sia l’autore di innumerevoli efferati delitti, ma non ha prove, e, per trovarle, incarica infine un agente la cui identità è coperta dalla massima segretezza, nome in codice “Numero Sei”. Valentine, grazie ai suoi collegamenti, viene a conoscenza del tranello, e, sentendosi minacciato, tenta in tutti i modi di individuare questo agente, del quale non è stato possibile scoprire nemmeno se sia uomo o donna. Recluta, nei bassifondi di Parigi, un feroce assassino, “Tray-Bong” Smith, e con questo inizia una caccia serrata a quel misterioso personaggio.

Numero Sei è un romanzo di Edgar Wallace del 1927 mai pubblicato prima in Italia, dal quale, nel 1962, è stato tratto un film per la serie televisiva “Edgar Wallace Mysteries”. Si tratta di un classico giallo all’inglese, ambientato fra Parigi e Londra, la cui particolarità consiste nel fatto che, stavolta, la sfida non è scoprire l’assassino, noto fin dalle prime pagine, bensì… l’investigatore. Con un po’ di immaginazione, il lettore potrebbe probabilmente capire presto la soluzione, per certi versi persino ovvia, se non fosse per un fondamentale elemento di dubbio: Numero Sei è un uomo o una donna? Un dubbio che suggerisce e lascia aperte più soluzioni, e che regala la sorpresa finale che ci si aspetta, tipicamente, da un lavoro del genere. Questo particolare spiega forse il perché questo romanzo non sia stato tradotto prima: all’inizio, viene introdotto il personaggio, e descritta l’assegnazione dell’incarico. Ora, in inglese, gli aggettivi sono invariabili, e anche l’appellativo “my friend”, con cui il capo si rivolge all’agente, può significare indifferentemente “amico mio” o “amica mia”. La trasposizione in italiano, senza opportuni accorgimenti, come quelli adottati in questa traduzione, avrebbe pertanto cancellato questo preziosissimo elemento, e reso il lavoro molto meno interessante.

Il lavoro è disponibile nelle principali librerie on line (Kindle, Kobo, Mondadori Store, ecc.) in formato e-book, al prezzo indicativo di € 1.99. l’autore, Edgar Wallace, non ha certo bisogno di presentazioni. Considerato “Il Re del Giallo”, ha scritto circa centocinquanta opere, fra romanzi e sceneggiature, fra le quali, sorprendentemente, quella di uno dei più classici fra i film di fantascienza, King Kong.

per un’anteprima su Kindle Store

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Sogni d’Estate – recensione

Roberto è un giovane insegnante con un incarico di supplenza nella scuola media di San Lucido, un piccolo paese sulla costa tirrenica calabrese. Per risparmiare qualcosa, va ad abitare nell’appartamento per le vacanze posseduto dalla famiglia a Torremezzo, una vicina località di villeggiatura, completamente deserta in quel periodo dell’anno. Non se la passa troppo bene, e invita un amico a tenergli compagnia per qualche giorno. Ma è davvero solo annoiato dalla solitudine di quel forzato, anche se conveniente, esilio, o c’è qualcos’altro che lo tormenta? Cosa accade, in realtà, fra i palazzi disabitati, e sulla spiaggia deserta, in quella solitaria località marina immersa nel cuore dell’autunno? Per il suo amico sarà un crescendo di disavventure, strani accadimenti, situazioni paradossali, che sfocerà nella scoperta di un incredibile quanto terribile segreto che, alla fine, metterà in gioco le loro stesse vite.

Il titolo, “Sogni d’Estate”, gioca sull’equivoco. Il clima dello scritto è ben diverso da quello che, con una tale intestazione, quasi da genere “rosa”, il lettore potrebbe attendersi. Si scoprirà, tuttavia, al momento giusto, che identifica in maniera esatta l’oggetto principale della storia, ambientata, da un punto di vista temporale, a metà degli anni ottanta. Ci sono, ovviamente, anche dei risvolti di tipo sentimentale (e quanti romanzi ne sono privi?), ma l’intero racconto parte e si snoda nei meandri di un mistero che diventa sempre più incombente, sempre meno nascosto, e sempre più inverosimile, fino all’apoteosi finale. Apoteosi che non si chiude con gli eventi conclusivi della vicenda, ma che, negli ultimissimi righi dell’epilogo, quando ormai sembra tutto finito, tutto chiarito, lancia un inquietante interrogativo: quando, in estate, siamo su una spiaggia affollata, a goderci il calore del sole, la brezza del mare, quell’aria piacevolmente salmastra… siamo certi di conoscere la natura del nostro vicino di ombrellone?

Il lavoro è disponibile nelle principali librerie on line (Kindle, Kobo, Mondadori Store, ecc.) in formato e-book, al prezzo indicativo di € 3.99, e, su Amazon, anche in quello cartaceo, a € 9,98. La lunghezza è di 262 pagine. Si tratta di una seconda edizione: la prima, non più disponibile, risale al 1987 (il che motiva la collocazione temporale della storia); l’attuale, opportunamente rivista, è del 2017. Il volume porta, per conformità con la prima pubblicazione, la firma Eusebio Gauppel, pseudonimo (anagramma) di Giuseppe Bauleo, e si rivolge, chiaramente, a un pubblico adulto. Dello stesso autore, anche se con nomi diversi, sono al momento disponibili altri cinque romanzi (noir, fantascienza, fantasy per ragazzi), alcuni racconti, svariati articoli di politica e informatica, e le traduzioni di brevi lavori di H. G. Wells, L. Frank Baum, Edgar Wallace.

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Attacchi hacker: l’unica vera difesa possibile.

È di questi giorni la notizia di un attacco hacker che ha colpito i computer di mezzo mondo… beh, forse anche più di “mezzo”, si parla di oltre 200mila computer in 150 Paesi.

Una notizia veramente agghiacciante.

No, non per l’accaduto, che di eclatante ha solo il numero di casi segnalati. Chi usa il computer è quotidianamente esposto a incidenti del genere, e non solo. Quello che ho trovato terribile è stato il modo in cui la vicenda è stata diffusa da giornali e telegiornali, con errori, imprecisioni, addirittura invenzioni, il che mi fa dubitare di tutto ciò che leggo o ascolto quando le cronache che vengono divulgate riguardano argomenti di cui non so molto (medicina, economia, scienze… politica), e quindi non sono in grado di valutarne l’attendibilità.

Lo scopo di questo scritto non è però attaccare il giornalismo italiano (e quello mondiale?). Lascio volentieri questo privilegio ai vari Berlusconi e Grillo.

Quello che vorrei indicare, qui, è l’unico, vero, infallibile metodo per difendersi non solo da questi attacchi, ma anche da incidenti altrettanto frequenti che possono mettere a rischio il frutto di anni, addirittura decenni di lavoro. Un procedimento che qualcuno si è ricordato, sì, di inserire, all’interno di una sequenza di consigli e suggerimenti “da esperti”, ma come fosse un particolare non rilevante, di secondaria importanza.

Ho sentito, per esempio, di raccomandazioni sul tenere aggiornati sistema operativo e antivirus; addirittura, il capo della commissione sicurezza informatica dell’Europarlamento, Andreas Schwab, si è scagliato contro tutti definendo il mancato aggiornamento di Windows “un atto di negligenza o di ingenuità incredibile, da qualsiasi punto di vista la si voglia guardare”.

Non vorrei mancare di rispetto all’esimio europarlamentare, ma trovo la sua recriminazione semplicemente patetica.

L’aggiornamento del sistema operativo avrebbe certo (o forse?) evitato questa sciagura, ma di sicuro non sarebbe stato di nessuna utilità in tantissimi, e per tantissimi intendo veramente tanti tanti, altri casi. E poiché, come esperienza personale, ho provato che spesso gli aggiornamenti del sistema operativo provocano più danni di quanti ne vorrebbero evitare, ho pubblicato in passato addirittura un paio di articoli (a questi indirizzi: http://blog54.altervista.org/disattivare-gli-aggiornamenti-windows-10/ e http://blog54.altervista.org/disattivare-gli-aggiornamenti-windows-10-appendice/ ) per spiegare “come” bloccarli, cosa che, con Windows 10, Microsoft ha cercato di rendere quasi impossibile.

Piuttosto, per tanti, tantissimi altri casi, io griderei contro l’INCOSCIENZA DI CHI ha messo e tuttora mette in mano uno strumento così potente e così vulnerabile, il cui malfunzionamento può creare danni incalcolabili, a un esercito di sprovveduti privi delle nozioni più elementari sul suo funzionamento e sul suo uso corretto. E, almeno per l’Italia, parte di questo merito va alla signora Fornero (e ai suoi spalleggiatori, che, dietro le quinte, l’hanno spinta ad attuare la riforma che porta il suo nome, e oggi fingono di volerla superare con interventi grotteschi), grazie alla quale un esercito di vecchietti con l’Alzheimer è costretta a rimanere a “produrre” e ad utilizzare questi arcani strumenti, mentre un esercito di potenziali, giovani lavoratori, con energie e competenze informatiche certamente superiori, rimane ad attendere che passino altri sette anni e nel frattempo sprecano tali energie e competenze in cazzeggiamenti vari tra Youtube e Facebook. E che fra sette anni saranno, per questo, anche mezzo rimbambiti.

Un altro consiglio, “captato” in un TG, era quello di affrettarsi a chiudere una finestra che dovesse aprirsi autonomamente. Ignorando che il minuto secondo o due richiesti per compiere una simile operazione sono tempi biblici rispetto a quelli elettronici, per cui l’operazione si rivela praticamente inutile. Piuttosto, consiglierei di spegnere al più presto il PC, magari anche brutalmente, o semplicemente staccare il cavo di rete o la pennetta Wi-Fi, per limitare la diffusione dell’infezione in rete, che, grazie al cielo (purtroppo, in altri contesti), ha velocità sensibilmente minori.

“Utile è anche un backup dei dati (o, se già fatto, un aggiornamento), cioè una copia dei propri file.”

Testualmente, quanto riportato su Repubblica, fra i “consigli degli esperti”. Dopo aver raccomandato, al solito, di tenere aggiornati sistema e antivirus, e di non commettere “atti impuri”, cioè aprire allegati di e-mail sospette. Come a voler dire, a uno che si sta buttando da un aereo in volo, di fare attenzione alle correnti d’aria, a non perdere l’orientamento, a concentrarsi al massimo all’arrivo al suolo… ah, e, magari, giusto per stare un po’ più tranquilli, anche di indossare il paracadute.

L’unica, sola, vera, sicura arma che abbiamo per proteggerci non soltanto da questi attacchi, ma anche da altre minacce (il computer viene rubato, si scassa, viene colpito dalla peste bubbonica…) è questa: il BACKUP! Tutto il resto può essere utile, può limitare (ma non escludere) alcuni rischi, ma quello che conta veramente, quello che può NON evitare quegli incidenti, ma SALVARE il frutto del nostro sudatissimo lavoro, è fare in modo di avere sempre un backup aggiornato di tutti i nostri dati. E se, come è possibile, il nostro computer viene stravolto da un WannaCry, o da qualche altro cataclisma, a chi ci chiede un riscatto per farci recuperare i nostri dati possiamo tranquillamente rispondere con una sonora e sentita pernacchia.

Per i più profani, cercherò di spiegare, in poche parole, cosa intendo per backup, e come questo possa porre riparo alle diverse sciagure che possono colpire il nostro PC.

Quando noi lavoriamo con un computer, essenzialmente abbiamo a che fare con due tipi di “oggetti”: programmi (oggi chiamati “app”) e dati. I primi sono gli strumenti che utilizziamo per lavorare, i secondi sono il frutto del nostro lavoro, ciò che noi produciamo. Per fare qualche esempio, se uno scrive un documento (una lettera, una petizione, un romanzo…), usa un’app, o programma, che si chiama “elaboratore testi”, o, in inglese, “word processor”, e produce un “file-dato” che contiene il testo che egli scrive; se uno realizza o modifica un’immagine, usa un programma di grafica, e produce un dato, che è appunto l’immagine stessa; idem per chi compone musica, o sviluppa video: con un programma apposito (sequencer, editor audio o video) produce dati che possono essere una canzone, una sinfonia, un filmato. Tutti questi “dati” sono dei “file” che, come i programmi che li generano, vengono normalmente memorizzati sul disco fisso. Sono gli “oggetti” che contengono il frutto del nostro lavoro. Se veniamo colpiti da un attacco come quello di cui stiamo parlando, questi dati vengono “criptati”, cioè trasformati in sequenze che noi non riusciamo più a leggere, e i nostri programmi a elaborare… a meno che non sborsiamo la cifra richiesta.

Questo significa dire addio al nostro romanzo, alla nostra Gioconda, al nostro brano da Hit Parade, al nostro film da premio Oscar. O ad un po’ dei nostri beneamati eurucci.

Ma, come ho già detto, non è necessario che intervengano hacker russi a combinarci uno scherzo del genere, né lasciare il nostro Windows non aggiornato: il computer ci può essere rubato, può venir bruciato da un fulmine che si scarica sulla nostra abitazione, può finire sotto le ruote di una macchina, può scassarsi perché gli anni passano per tutti, può essere infettato perché, in un attimo di distrazione, apriamo l’allegato di una e-mail truffaldina progettata bene, perché inseriamo nella presa USB una chiavetta infetta (come accadeva, una volta, con i vecchi floppy disk)… “Questo” attacco, questo WannaCry, poteva essere fermato con un aggiornamento esistente, ma quanti altri attacchi possono verificarsi prima che se ne scopra l’esistenza, e si aggiornino adeguatamente sistema operativo e antivirus?

Quindi, se i consigli dati dagli esperti sono comunque utili per RIDURRE il rischio di attacchi, l’unica difesa veramente efficace è quella di avere almeno una copia di backup dei nostri dati. Meglio due. Per chi volesse saperne di più, prevedo un nuovo articolo a breve, dove spiegherò più in dettaglio come effettuare tali backup, comodamente e in maniera sicura (credo che, comunque, in giro per la rete, esistano già numerosi tutorial sull’argomento). Giusto come anticipazione, evitando, per esempio, di tenere collegato il dispositivo usato per il backup più del tempo strettamente necessario per l’operazione. Ma mi dilungherò su questo a suo tempo.

Se capita, l’attacco non lo evitiamo, ma eliminiamo totalmente il danno subito semplicemente:
1) formattando il computer (così si ripulisce sia dei file rovinati, sia del virus);
2) reinstallando sistema operativo e programmi;
3) ricopiando su disco fisso i nostri dati salvati altrove.
Qualche ora di lavoro, qualche imprecazione per la perdita di tempo, e il nostro PC torna bello (o brutto) come prima. Senza dover sottostare ad alcun genere di ricatto.

In pratica, se è assolutamente impossibile evitare un attacco, si può fare almeno in modo che questo, una volta che ha colpito, faccia meno danni possibile.

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Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10 – appendice

Qualche mese fa ho pubblicato un articolo su come disattivare gli aggiornamenti di Windows 10, meravigliandomi del fatto che autori molto più esperti di me avessero ignorato il metodo da me suggerito, assolutamente banale nella sua semplicità… beh, almeno per chi avesse un po’ di dimestichezza con il computer.

Purtroppo, credo di aver scoperto perché Aranzulla & company avessero ignorato questo sistema: semplicemente, non funziona. Non come dovrebbe, almeno. E non ottiene, pertanto, il risultato desiderato.

Già, perché il servizio che io suggerivo semplicemente di disabilitare (per chi non lo avesse già fatto, vorrei suggerire di leggere comunque l’articolo, per capire meglio di cosa stiamo parlando), quando meno te lo aspetti, si riabilita di nuovo. Senza neppure usarti la cortesia di avvisare. Ma l’educazione di Microsoft è proverbiale. Come tanto altro. E considerato che l’unica alternativa proponibile è Linux, analoga schifezza, certo un po’ di rabbia fa, pensare di avere sulla scrivania un mostro di potenza e dover perdere tanto tempo, e prendersi tante arrabbiature, ad aspettare che il suddetto “mostro” la smetta di gingillarsi in continui e spesso infruttuosi tentativi di riavvio per permetterti finalmente di fare le cose per cui hai speso tutti quei soldi per comprarlo, ed essere costretto a continui click sull’icona del dischetto prima che una schermata azzurrina (prima era blu) ti avverta che hai appena buttato nel cesso tutto il lavoro che avevi fatto dall’ultimo salvataggio.

Resterebbe l’ipotesi Apple, che non ho mai preso in considerazione a causa dei costi elevati e della minore diffusione. Ammesso che quei sistemi funzionino davvero meglio dei primi due. E spendere quello che ci sarebbe da spendere per scoprirlo è una scommessa che non mi sento di accettare. Con Windows, se non altro, se hai un problema e non sai come uscirne, probabilmente ti basta chiedere al ragazzetto che sta giocando a pallone nella piazzetta davanti alla chiesa.

Comunque sia, ‘sto Windows 10 ormai l’abbiamo, e dobbiamo conviverci, con il minor numero di problemi possibile. Problemi che, in gran parte, dipendono dagli aggiornamenti che stiamo cercando di evitare o, perlomeno, di installare quando possiamo e vogliamo (noi, non Microsoft).
Per chi ha un collegamento wireless può utilizzare il metodo consigliato da Aranzulla & company, cioè andare nelle proprietà del collegamento e segnalarlo come un servizio a consumo.
Per tutti gli altri, volendo far funzionare il metodo che ho suggerito, si tratta di avere l’accortezza di eseguire il comando services.msc quanto più spesso possibile, controllare che nella colonna “Tipo di avvio” del servizio Windows Update sia presente la dicitura “Disabilitato”, ed in caso contrario ripetere le operazioni descritte nell’articolo precedente (http://blog54.altervista.org/disattivare-gli-aggiornamenti-windows-10/).

Poiché la cosa può essere seccante, e ci si può dimenticare facilmente di farlo (con tutte le cose che abbiamo in testa, figuriamoci se dobbiamo pure ricordare ogni volta di fare questo controllo), ho preparato un paio di file eseguibili che possono tornare utili.

A questo link è possibile scaricare un file zip, da scompattare, contenente due file batch, “services.msc.bat” e “disabilita Windows Update.bat”. Per chi non lo sapesse, i file di tipo batch (nomefile.bat) sono dei file che contengono dei comandi di sistema operativo. Se si dà il doppio click su di essi, vengono eseguiti. Se vi si clicca sopra con il tasto destro e si sceglie, dal menu che si apre, l’opzione “Modifica” è possibile leggerne il contenuto con il semplice blocco note.

Se si copia o sposta il primo file (“services.msc.bat”) nella cartella con questo percorso “C:\ProgramData\Microsoft\Windows\Start Menu\Programs\StartUp”, si ottiene che ad ogni riavvio del PC si apra automaticamente la finestra di gestione dei servizi, nella quale controllare se il servizio “Windows Update” è ancora disabilitato.

aggiornamenti

Se lo è, chiudiamo la finestra e facciamo quello che dobbiamo fare (sperando che il riavvio non avvenga “mentre” stiamo usando il PC).

aggiornamenti _2

Se invece scopriamo che il servizio si è riattivato (Tipo di avvio, quindi, “Manuale” o “Automatico”) possiamo usare il secondo bat, “disabilita Windows Update.bat”, avendo però l’accortezza di eseguirlo come amministratore (non doppio click, quindi, ma un click con il tasto destro sull’icona, e selezionare “Esegui come amministratore”).

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Si apre così una finestra dos che ci consente di controllare l’esito del comando. Il primo messaggio può essere di errore, se il servizio non era ancora in esecuzione, visto che con la prima istruzione cerchiamo di fermarlo. Nessun problema, quindi. Il secondo messaggio dovrà segnalare “OPERAZIONI RIUSCITE”, il che ci informerà che Windows Update è stato di nuovo disabilitato. Per chiudere la finestra basterà premere un tasto qualsiasi della tastiera.

aggiornamenti _3

Un errore che può capitare è quello di lanciare erroneamente il bat con il solito doppio click. In questo caso, anche il secondo messaggio sarà di errore, e reciterà “Accesso negato”. Poco male, basterà rilanciarlo correttamente come Amministratore.

Questa mia nuova soluzione si basa essenzialmente su una ipotesi, e cioè che la riattivazione del servizio avvenga ad un determinato avvio del sistema. Se invece il servizio dovesse abilitarsi durante l’uso del PC, magari perché qualche altro servizio (di cui non so nulla) scopre che ci sono aggiornamenti da scaricare… beh, al momento non ho altro da suggerire. Se, con il tempo, scoprirò qualcosa di nuovo, provvederò a scrivere una nuova appendice.

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Perché voto SÌ

voto sì
Io voto SÌ.

Lo dico e lo ripeto tranquillamente: voto SÌ. Questo non mi farà diventare più popolare di quanto già non sia, ma il coro di NO che vedo piovere da tutte le parti, anche da persone che rispetto e con cui condivido tantissime idee, mi fa imbestialire.

Non è per questo, però, che mi sono deciso a scrivere questo articolo. Ognuno è libero di pensarla come vuole, e non potrò essere certo io a far cambiare idea a chi è fermamente convinto della bontà della propria scelta, o che viene bombardato di messaggi di un certo tipo da gente certamente più esperta di me nell’arte di convincere le persone.

Lo scrivo con la speranza di recuperare la stima di un amico che temo di aver perso, in pochi secondi, per aver espresso la mia opinione in proposito.

Ci eravamo incontrati per caso. Un rapido saluto, eravamo entrambi affaccendati, poi una domanda, preceduta da un’attestazione di rispetto ed ammirazione a dir poco imbarazzante: tu cosa voti il 4 dicembre?

La mia risposta era stata precisa e decisa, “voto SÌ”. Allora il mio amico ha cambiato faccia, ha mostrato lui di essere in imbarazzo adesso, ma ha evitato di discutere. Si è limitato a dire “ah, no, mi dispiace, io voto NO”, e si è allontanato con una espressione profondamente delusa sul volto.

Era chiaro che, con la sua domanda, stesse cercando conferma sulla bontà della sua decisione, comunque irrevocabile, da una persona verso cui nutriva profondo rispetto, e non averla ricevuta lo aveva messo davanti ad uno sgradevole bivio: cambiare idea sul voto da esprimere, o cambiare idea su uno stimato amico. Mi è parso evidente che la sua scelta sia caduta sulla seconda opzione.

So, per tanti discorsi fatti in precedenza (in particolare sulla legge Fornero, che aveva bloccato entrambi, ormai stanchi, quasi allo stremo, a pochi passi da un’agognata pensione) che la sua decisione non dipende da una valutazione sull’oggetto del referendum, ma dal desiderio viscerale di mandare via Renzi.

Un desiderio, in parte, condiviso anche dal sottoscritto.

Esattamente il tipo di errore fatto dalla stragrande maggioranza dei fautori del NO, abilmente pilotata da gente che non vuole perdere trecento belle poltrone da ventimila euro al mese, o da un’opposizione gratuita, sterile e puerile come quella dei Cinque Stelle.

Io voto SÌ, e voglio spiegare perché. Al mio amico, innanzitutto, se arriverà a leggere questo articolo. Spero di convincerlo, se non altro, che non sono diventato un idiota o, peggio ancora, un estimatore del nostro presidente del consiglio, ma ho fatto delle valutazioni che MI IMPONGONO di dare forza e credito, in questa occasione, ad un personaggio del genere (non oso definirlo con qualche aggettivo perché pare sarebbe reato… almeno, con l’aggettivo che vorrei usare).

Cominciamo con due parole su Renzi. Poiché in Italia (ma non so se accade lo stesso anche altrove), se sei d’accordo su un’idea con qualcuno, questo significa che sei dalla sua parte in tutto e per tutto (una volta sono stato considerato berlusconiano perché avevo giudicato stupida e opportunistica la protesta per la sua battuta sull’abbronzatura di Obama), desidero chiarire la mia posizione nei suoi confronti.

Prima di tutto, onestamente, devo ammettere che all’inizio mi ero illuso su di lui. Come, ventidue anni fa, mi ero illuso con Berlusconi. Lo so, sono un credulone. Ma non così imbecille da continuare a credere in qualcosa, o qualcuno, dopo aver sbattuto violentemente il muso contro la realtà.

Parlare, ammettiamolo, parla bene. È il razzolare che lo frega.

Poco fa ho detto che condividevo il desiderio di mandarlo a casa “in parte”. Questo “in parte” per due semplici motivi. Il primo è che, per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare un presidente del consiglio che si sia dimostrato migliore di lui. Se qualcuno ha nomi da proporre, sono in attesa. Per questo, il mio desiderio che si levi dalle scatole non è più forte che con quelli che lo hanno preceduto, né con quelli che lo seguiranno. E poiché qualcuno, in quel posto, ce lo dobbiamo tenere per forza (perdonate il doppio senso in po’ volgare, non era voluto… anche se calza alla perfezione), lui o un altro fa lo stesso. Il secondo motivo (che un po’ smentisce il primo) è che, come in amore ci si giura di amarsi più di ieri e meno di domani, in fatto di premier pare sistematico che quello attuale sia peggio del precedente, e meglio del successivo. Quindi affannarsi tanto per mandarlo a casa, per poi beccarsene un altro ancora peggiore, non mi sembra così saggio e salutare.

Quello che voglio dire, in pratica, è che se avessi la garanzia che, andato via Renzi, il suo posto venisse preso da una persona veramente capace ed onesta, voterei NO anche io. L’attuale riforma salterebbe (che poi, lo riconosco, non è certo il massimo), ma ci penserebbe il prossimo a farne una migliore, abolendo il senato del tutto, magari, ed anche portando il numero dei deputati ai livelli di Francia, Spagna, Olanda o Germania. Ma chi? Qualcuno, torno a chiedere, ha un nome in mente? Il redivivo, in questo scenario, D’Alema? Il rivoluzionario Berlusconi, che ha avuto le redini in mano negli ultimi vent’anni? Il populista Salvini? O, magari, Beppe Grillo, se c’è ancora qualcuno che crede in lui?

Ma andiamo!

Una risposta sincera, per favore, non un isterico “chiunque, ma non lui”

Comunque sia, non ho nessuna voglia di promuoverlo. Se non per un motivo: è riuscito a mettere da parte la vecchia guardia del PD, quella che per vent’anni ha consentito ad un piccolo uomo come Berlusconi di apparire un gigante. Vecchia guardia pronta a tornare in sella in caso di vittoria del NO, e per adesso sputa fiele in attesa della sua rimonta. Beh, forse il cambio non sarà stato tanto vantaggioso, ma vedere nei vari TG le espressioni livide di D’Alema e compagni non ha prezzo.

Non mi è piaciuto il suo Jobs Act, uno stupido ed inutile regalo a Confindustria che ha cancellato il concetto di stabilità nel lavoro, rendendo tutti precari a vita; non mi è piaciuta la sua “pessima”scuola, che ha trasformato gli insegnanti in pedine senza diritti e senza vita propria, e dato ai presidi licenza di uccidere; ed in particolare sono avvelenato con lui, come lo è quel mio amico, per avermi per ben due volte illuso sull’anticipo pensionistico. Che avrei potuto finalmente godermi un’agognata pensione più tardi di quello che mi sarebbe spettato, vero (ma questo non per colpa sua), ma prima di quanto avrei dovuto ancora attendere. La prima volta circa un anno fa, quando si era messo a parlare della nonna di cinquantasette anni che, con qualche decina d’euro in meno sulla pensione, avrebbe potuto occuparsi del nipotino a casa. Io di anni ne avevo già sessantuno, magari ci poteva scappare qualcosa anche per un maschietto come me. E invece il discorso veniva rinviato per mancanza di fondi. Poi quest’anno, con la mitica APE. E con la riduzione di circa il quaranta per cento sull’importo, metà del quale a beneficio di banche ed assicurazioni. Un accordo dal chiaro sapore di sfottò, di presa in giro, presentato come un reale superamento della legge Fornero. Legge Fornero: un’altra boiata inammissibile, prodotta da un governo di manager strapagati, che aveva eliminato senza problemi il diritto acquisito di un lavoratore di andare in pensione a sessant’anni o con quarant’anni di servizio, senza che la Consulta avesse niente da ridire. Eh già, gli unici diritti acquisiti che per la Costituzione non si possono toccare sono quelli dei loro assurdi e incomprensibili privilegi.

Avevo apprezzato la sua promessa di mettersi da parte in caso di sconfitta al referendum (cosa che dovrebbe fare qualsiasi persona seria in caso di un proprio fallimento, per quanto, alla fine, questo ci costringerebbe a cercare un premier fra gli immigrati), anche se si era poi rivelata un tremendo autogol, e ritengo ora una vergogna vedergli fare un passo indietro in proposito. Come avevo suggerito in un precedente articolo, sarebbe stato molto più dignitoso e produttivo garantire le proprie dimissioni anche in caso di vittoria del SÌ, per poter andare subito al voto con le nuove regole. Avrebbe tolto all’opposizione il principale argomento per far votare NO, avrebbe dato ai cittadini la possibilità di ragionare davvero sul tema proposto, e credo sarebbe stato molto più apprezzato del suo squallido voltafaccia, con relativo, presumibile ritorno in termini di consensi alle urne. Ed ora, per cercare di mercanteggiare qualche appoggio ed evitare la debacle elettorale, si dichiara disponibile perfino a manomettere la nuova legge elettorale, togliendo il ballottaggio, e di fatto rendendola così perfettamente inutile: sì, forse non sarà moralmente giusto che una forza politica arrivi a governare con un 30% di consensi (che in seguito al ballottaggio diventerebbe 50% più uno), ma è ancora meno utile all’Italia avere una situazione di stallo che costringa continuamente a nuove e inutili elezioni, o a vergognosi inciuci come quelli Letta – Berlusconi o Renzi – Alfano – Verdini. Gli spagnoli hanno votato per due volte a distanza di sei mesi, e non ho notizie sulla loro attuale situazione, per una legge elettorale altrettanto lacunosa. Sono convinto che un analogo Espanicum li farebbe saltare di gioia.

Poi c’è la favola che racconta sempre in giro sugli investimenti. E su questo non è solo. Industriali, economisti, sindacati, perfino il drago Draghi: tutti d’accordo nell’invocare questa panacea.

Tutti idioti, o tutti ipocriti?

Anche questo ho già avuto modo di scriverlo: gli investimenti possono essere l’effetto della crescita, non la causa. Cosa significa investire? Vuol dire spendere denaro per produrre qualcosa. Ma se il mercato non ha risorse sufficienti (detto volgarmente, soldi) per assorbire quanto viene prodotto, quale può essere la sola conclusione? Fallimento, e perdita di quanto si è investito. Oggi chiudono attività già… attive, perché non riescono a vendere ciò che producono, come si fa in questa situazione a pensare di “investire” in altro? Meglio mettere i propri quattrini sotto il mattone, o nei caveau di qualche banca (estera), o giocarli in borsa se si è amanti del rischio. Magari, meglio ancora al casinò, o all’ippodromo.

Come ho già detto in passato, serve benzina. Servono soldi, a disposizione dei potenziali acquirenti. Soldi che possano venir spesi per acquistare ciò che il mercato offre, e motivare l’ulteriore produzione di quei beni, e quindi i necessari investimenti per produrli. E i soldi ci sono. Solo, mal distribuiti. Quello delle pensioni è solo un esempio: la metà di quanto viene sborsato dall’INPS va nelle tasche di un solo dieci per cento di pensionati (d’oro), l’altra metà deve accontentare il restante novanta. La prima metà finisce nelle banche svizzere o di qualche altro paradiso fiscale, dubito che qualcuno sia capace, con tutta la buona volontà, di spendere per intero le ingenti somme che gli vengono elargite; la seconda metà viene immessa in un mercato sempre più asfittico per problemi di circolazione (monetaria). Lo stesso discorso per gli stipendi pubblici, ed il recente caso RAI ne è un altro esempio. Lo stesso discorso vale ancora per gli sperperi degli enti pubblici, con società partecipate che non rendono niente e costano miliardi di sole poltrone. Addirittura l’esistenza di Enti formati solo da consigli di amministrazione e senza un esecutivo, sulla cui istituzione sarebbe interessante capire come mai nessun magistrato abbia indagato… Creare una struttura di soli generali senza alcun soldato può essere dovuto solo a semplice stupidità?

Tutti argomenti che il buon Matteo finge di non conoscere. Eppure, la modesta ripresa registrata in Italia, sono convinto che dipenda da una sua celebre mossa: gli ottanta euro in busta paga. Miliardi di euro immessi sul mercato. Mossa elettorale? Probabile. Ma resta un’ottima mossa. Da potenziare, prelevando da stipendi, pensioni e vitalizi ingiustificati. Se si avesse onestà di intenti.

Beh, mi pare si sia capito che non sono un tifoso del grande Matteo.

Eppure al referendum di dicembre (ex di ottobre) voto SÌ.
Non per farlo rimanere (tanto, rimane lo stesso).
Non per esprimere un gradimento sul suo operato.

Voto SÌ perché non mi va di continuare a mantenere trecento senatori a ventimila euro al mese (più benefit), che rendono farraginoso l’iter per l’approvazione di qualsiasi legge, solo per bocciare l’operato di Renzi. Questo lo farò alle prossime elezioni.

Voto SÌ perché non voglio essere uno che inveisce contro la casta e poi corre a dare il proprio voto per salvarla.

Voto SÌ perché non voglio dar ragione a spregevoli individui che da sempre banchettano a spese di una nazione che non riesce ad arrivare a fine mese, spacciando per democrazia i loro sporchi traffici e i loro folli e ingiustificati privilegi.

Quali sono gli argomenti del NO?

Perdita di democrazia? Caspita, bell’argomento, sventolato da gente che si lamenta, e a ragione, che la democrazia, in Italia, da sempre non esiste. E quale sarebbe il potere dato al popolo con l’elezione del senato? Non le liste bloccate così vituperate della camera, addirittura una scelta uninominale! Da una parte contestiamo l’impossibilità di esprimere preferenze in un tipo di elezione, poi eleggiamo a baluardo della democrazia un organismo eletto con un meccanismo addirittura peggiore. E magari, se il responso degli italiani sarà quello di bocciatura della riforma, per farli più felici aumentiamogli il livello di democrazia, offriamogli la possibilità di eleggerne duemila, anziché novecento. Creiamo una terza camera. Tanto, in media, ad ogni cittadino non costerà più di quattro o cinque euro all’anno (con questo, mi riferisco ad un argomento presente poco più avanti).

Pericolo di una svolta autoritaria? E a che pro? È da decenni che gli italiani avrebbero ragione a imbracciare fucili e forconi, e invece ad ogni elezione continuano a recarsi alle urne a legittimare la classe politica che li oltraggia e li dissangua.. Che bisogno c’è di instaurare un regime dittatoriale, con dei pecoroni del genere?

Il cavallo di battaglia dei Cinque Stelle è addirittura ridicolo: con questo nuovo senato offriamo l’indennità parlamentare a cento amministratori. Ma bocciandolo, continueremo a concederlo a trecento senatori, non a cento!

L’ultima motivazione, appena letta su Facebook, riguarda l’esiguità del risparmio previsto: 85 centesimi di euro per ogni cittadino italiano. Un’inezia. Quindi, dico io, perché prendersela con un amministratore corrotto che ruba qualche decina di migliaia di euro? La perdita subita da ogni cittadino è inferiore al millesimo di euro.

Maledizione, se anche si trattasse di risparmiare un solo euro in totale all’anno, sarei felice di poterlo sottrarre alla famelica disponibilità di questa marcia classe politica!

Ma sono rassegnato, vincerà il NO. Nonostante la dubbia rettitudine dei suoi fautori, gli stessi che da decenni affamano la gente per godere intoccabili privilegi, e nonostante la pochezza degli argomenti a sostegno. Solo per cercare di mandare via una persona, preferiamo tenercene trecento di pari levatura.

Perché la gente è stanca. Perché la gente è stufa. Perché la gente è disperata, disgustata, arrabbiata, ed in queste condizioni è facile perdere il lume della ragione.

Vincerà il NO, ci godremo il ritorno di D’Alema ed il trionfo di Salvini, e vivremo finalmente felici. Come il tizio che per far dispetto alla moglie si tagliò gli attributi.

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Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10

(Attenzione: il metodo descritto in questo articolo, purtroppo, non funziona al 100%. Ho pubblicato, per questo, un articolo integrativo, al link http://blog54.altervista.org/disattivare-gli-aggiornamenti-windows-10-appendice che si invita a leggere dopo – e non in sostituzione – di questo)

Oggi resto ancora nel campo dell’informatica per suggerire un metodo per disattivare gli aggiornamenti di Windows 10. Cosa, in teoria, non possibile con questo nuovo sistema operativo. Nei precedenti, bastava selezionare l’apposita opzione per farlo.

Anche stavolta è una mia soluzione personale, visto che tutti gli articoli che ho trovato in Internet su come disattivare gli aggiornamenti di Windows 10 percorrevano altre strade. Compreso Aranzulla, ed è quanto dire. Alcune semplici ed efficaci (ehm, una, per la verità, e funzionante solo in un certo caso), altre un po’ più complesse e poco convincenti, che per giunta non permettevano del tutto di disattivare gli aggiornamenti di Windows 10, ma li ritardavano soltanto (a che pro? Boh!).

Secondo gli articoli che ho trovato, il modo più semplice di disattivare gli aggiornamenti di Windows 10 è quello di dichiarare al nostro sistema operativo che la connessione ad Internet che utilizziamo è a consumo. I tecnici della Microsoft si sono perlomeno preoccupati di non rischiare di far spendere belle cifre all’utente senza alcun controllo da parte sua. Purtroppo questo sistema è previsto solo per il WiFi, mentre pare non si possa utilizzare con collegamenti via cavo.

Ora, prima di tutto, non so come funziona in America, ma qui da noi il collegamento ad Internet è realizzato da un modem/router tipicamente dotato di WiFi, ma al quale è possibile, e sarebbe pure consigliabile, collegarsi anche via cavo se il PC non è troppo distante dall’apparecchio. Quindi, se uno ha una connessione a consumo, e non usa il wireless per collegarsi al router, rischia lo stesso di beccarsi un bel salasso senza alcuna possibilità di evitarlo.

Altra osservazione: immaginiamo una rete di cinquecento computer, come quella in cui sguazzo allegramente io in ufficio (ma ne esistono di molto più grosse), collegati, ovviamente, via cavo, e che all’improvviso cominciano a scaricare centinaia di mega di aggiornamenti… Chiudiamo l’azienda un paio di giorni e poi ne riparliamo. Sperando, come vedremo più in là, che, alla fine di questi aggiornamenti, i cinquecento si accendano di nuovo.

Altri metodi, un tantino più complessi, riescono solo a ritardare questi aggiornamenti, e sinceramente non ne vedo l’utilità.

Il mio è di una banalità disarmante, e finora pare vada bene. Non capisco perché non sia stato ancora proposto da nessuno. O, se lo è stato, da nessuno che abbia un po’ di pratica con il SEO, come spiegherò più avanti.

A chi non è proprio un principiante, mi basta dire di andare nella gestione dei servizi, individuare quello chiamato Windows Update, e disabilitarlo.

Per chi non sa cosa significhi il periodo precedente propongo qui una guida passo passo. A leggere tutta ‘sta roba potrà sembrare complicato, ma è solo perché i pochi passi da compiere sono dettagliati con grande precisione, per evitare malintesi. Farlo (o vederlo fare) è veramente semplice.

Il responsabile di questa prevaricazione è un servizio chiamato Windows Update. Per chi non lo sapesse, i “servizi” sono dei programmi che si avviano autonomamente e di nascosto, e in generale svolgono le varie funzioni del nostro PC, molte delle quali a noi perfettamente sconosciute. Seguendo il mio metodo, sarà possibile vederli, e anche vederne il numero.

Cominciamo:
1. Clicchiamo con il tasto DESTRO del mouse sul pulsantino di Start (quello nello spigolo in basso a sinistra dello schermo: una volta aveva l’etichetta “Start” o “Avvio”, adesso contiene l’iconcina di Windows 10, una minuscola finestra stilizzata). Compare un menù. Una delle voci più in basso è “Esegui”. Clicchiamoci sopra.
Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10

2. Si apre un riquadro, con una casella di testo etichettata con “Apri:”. Digitiamoci dentro “services.msc” (ovviamente senza le virgolette) e battiamo Invio, o clicchiamo su OK. In alternativa, possiamo scrivere questo comando nella casella di Cortana (così finalmente le facciamo fare qualcosa) e premere Invio. Esistono anche altri metodi per fare quanto appena indicato, ma sono più lunghi da descrivere.
Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10

3. Si apre una finestra contenente un elenco bello lungo. Bene. Quelli sono i “servizi” presenti nel nostro computer. Alcuni risultano “in esecuzione”; altri no, ma si avvieranno quando necessario; altri ancora sono disabilitati.
Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10
Se clicchiamo sulla intestazione “Nome” dell’elenco, tali servizi verranno visualizzati in ordine alfabetico discendente, dall’ultimo al primo (se non è così, basta cliccare su “Nome” una seconda volta). Una delle prime voci (sul mio PC è la seconda) è denominata “Windows Update”, che potrà risultare in esecuzione o no.

4. Se è in esecuzione, clicchiamo sul nome “Windows Update”. A sinistra, sempre nello stesso riquadro, compare, sopra una breve descrizione del servizio, una coppia di link: “arresta il servizio” e “riavvia il servizio”. Clicchiamo su “arresta il servizio”. Se invece lo stato è in bianco, vuol dire che in quel momento il servizio non è attivo, e ovviamente ci guarderemo bene dall’avviarlo, e andremo al passo successivo.
Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10

5. Clicchiamo adesso, ma stavolta con il tasto DESTRO, sempre sul nome “Windows Update”. Nel menù contestuale che compare, scegliamo Proprietà (dovrebbe essere la penultima voce, sopra un punto interrogativo).
Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10

6. Si apre una nuova, piccola finestra. Più o meno al centro di essa c’è l’etichetta “Tipo di avvio”, e alla sua destra una casella di testo contenente la scritta “Automatico”, o “Manuale”. Non so perché, ma questo campo non ha lo stesso valore in tutti i computer. Poco male, tanto a noi non va bene nessuno dei due. In fondo a destra in questa casella c’è un segno di maggiore rivolto verso il basso. Clicchiamoci sopra.
Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10

7. Si apre un menù a tendina dove è possibile scegliere fra alcune opzioni. Selezioniamo “Disabilitato”. Confermiamo cliccando su OK, et voilà, il servizio è disattivato.
Disattivare gli aggiornamenti di Windows 10
Niente più aggiornamenti, almeno fino a quando non lo riattiveremo (basta ripetere il percorso appena fatto e selezionare “Automatico” in quest’ultimo menù.)

PERCHÉ DISATTIVARE GLI AGGIORNAMENTI DI WINDOWS 10.
Chi è arrivato in questa pagina perché ha cercato un metodo per disattivare gli aggiornamenti di Windows 10 potrà benissimo risparmiarsi il resto dello scritto, perché probabilmente saprà già perché vuole farlo.

Giacché ci sono, vorrei spiegare il motivo della continua ripetizione della frase ” disattivare gli aggiornamenti di Windows 10″ presente in questo articolo e che forse avrete notato. Poiché in questo blog mi presento essenzialmente come scrittore, una tale stucchevole reiterazione mi mette a disagio perché, stilisticamente, è una vera schifezza.

Purtroppo, se pubblicare qualcosa su Internet è estremamente semplice, farsi trovare per essere letto è una sfida decisamente impari, e il tuo articolo ha meno probabilità di essere scovato di quante ne abbia il classico ago in un pagliaio. Senza scendere troppo nei dettagli, esiste un affare che si chiama SEO che suggerisce una serie di accorgimenti per migliorare il posizionamento del tuo link nelle pagine di ricerca. Uno di questi strumenti è la ripetizione di una parola o frase “chiave” all’interno del testo. Il mitico Aranzulla conosce bene tale regola. In questo caso, “disattivare gli aggiornamenti di Windows 10”, oltre ad essere il titolo dell’articolo, è anche la sua frase chiave: più volte la ripeto, più è facile che voi troviate l’articolo quando, su un motore tipo Google, fate una ricerca usando appunto quei termini. Sì, sono d’accordo, è una stronzata. Ma magari fosse l’unica, oggi, nel mondo dell’informatica!

Tornando a bomba, cioè sul “perché” disattivare gli aggiornamenti di Windows 10 (ehm, già, ci risiamo), comincio con un aneddoto.

Una quindicina di anni fa vi fu un piccolo grande incidente internazionale riguardante Windows XP. Il già allora ex presidente della Repubblica, e all’epoca, quindi, senatore a vita Francesco Cossiga scrisse una lettera di protesta a Bill Gates (a me pareva di ricordare che lo avesse addirittura denunciato, ma forse sbagliavo) perché, all’incirca testualmente, “il nuovissimo programma Microsoft XP Home, dopo due giorni di funzionamento è entrato in tilt e né i miei amici né la Microsoft italiana riescono a risolvere il problema, con il pericolo che il disco fisso del computer debba essere di nuovo formattato di tutti i dati contenuti”. Il caso fu risolto dal servizio di assistenza, il quale “scoprì” che il problema era di tipo hardware, trattandosi di un computer assemblato, e quindi non era colpa di XP. Mah, sarà. Personalmente, io ho i miei dubbi, ma non potendo dimostrare il contrario, mi attengo a questa versione ufficiale. Il punto saliente della questione consiste in un passaggio della lettera di protesta, che, anche se con tale versione dei fatti sembrerebbe sbagliato, ritengo invece che sia di grandissima e terribile attualità: “… Forse, mio caro e giovane Mr. Gates, prima di mettere sul mercato, con tanta pubblicità, suoi nuovi prodotti dovrebbe farli testare un po’ più a lungo e con maggiore cura e perizia”.

Il punto è proprio questo: non so se questo “suggerimento” fosse giusto nel caso di XP, ma lo sarebbe sicuramente per altri prodotti che lo hanno seguito: Vista, Otto, Dieci… non so nulla a proposito di Sette, nulla di eclatante, almeno, ma ho qualche dubbio sul fatto che questo possa essere esente da critiche del genere.

In pratica, pare che oggi (ma credo anche ieri) vengano immessi sul mercato dei prodotti semilavorati. Anziché spendere miliardi per testarli adeguatamente e controllare l’esistenza di bug (errori di programma), ho l’impressione che preferiscano farlo fare gratis a milioni di utenti che, giornalmente, si scontrano con incidenti di vario tipo, e forniscono (a loro spese) le informazioni necessarie per correggere tali errori. Per questo motivo siamo costretti a scaricare continui, e spesso pesanti, aggiornamenti, per riparare gli errori contenuti dal prodotto che abbiamo comprato. Centinaia di megabytes di roba che intasano la nostra misera banda e riempiono di spazzatura il nostro disco fisso. E il fatto che con 10 abbiano cercato di impedire il blocco degli aggiornamenti mi fa sospettare (e l’esperienza me lo conferma) che questo sistema operativo abbia più bisogno dei precedenti di continue correzioni.

Il concorrente Linux, purtroppo, non è da meno, e mi pare abbia in questo persino superato Windows: è ancora più “grezzo”. Mega e mega di aggiornamenti quotidiani, e programmi, o comandi, che non funzionano. Altro che i Linux di una volta! Allora, per questo sistema operativo, il termine “aggiornamento” era sconosciuto. Rilasciata una versione, bisognava attendere la successiva per avere qualcosa di nuovo. A proposito, c’è un’affermazione dei linuxiani che mi atterrisce. Secondo questi, quando il computer si blocca, ad andare in errore è l’interfaccia grafica, perché, sotto, Linux continua a funzionare regolarmente. Ora, se pensiamo che l’interfaccia grafica è lo strumento che abbiamo per “guidare” il nostro PC, questa dichiarazione mi suona come un “tranquillo, se in auto ti si rompe lo sterzo non ti preoccupare: la macchina continua a correre lo stesso”.

Questo è l’attuale panorama informatico mondiale… ed io, grazie a madama Fornero, dovrò stare ancora almeno altri cinque anni a combattere in questo mondo assurdo e sbilenco.

A questo punto, però, la domanda sorge spontanea: ma se questi aggiornamenti servono a riparare le pecche del nostro sistema operativo, e quindi evitare malfunzionamenti del nostro computer, perché bloccarli? (ecco, anche qui, secondo SEO, avrei dovuto ripetere, dopo il “perché”, la frase “disattivare gli aggiornamenti di Windows 10”, ma c’è un limite! E comunque, con questa precisazione, sono riuscito a infilarne lo stesso un’altra).

Semplice, e direi anche drammatico.

Il primo motivo è che questi maledetti aggiornamenti si scaricano quando vogliono loro (vabbe’, in teoria quando vuoi tu, perché l’ora è programmabile, ma vatti a ricordare se e quando hai deciso di consentirlo), fregandoti banda che in quel momento potrebbe esserti preziosa, e si installano quando meno te lo aspetti, tipicamente quando stai spegnendo il computer, e non c’è modo di fermarli (almeno con XP c’era la possibilità di scegliere se spegnere SENZA installare gli aggiornamenti scaricati), così sei costretto o ad aspettare lo spegnimento, o a lasciare il PC acceso senza presiedere agli eventi sperando (pregando, se sei credente!) che vada tutto bene.

Il secondo motivo è che, talvolta, anziché, o oltre a, riparare un problema, questi aggiornamenti ne creano altri addirittura peggiori. Come, per esempio, alterare la configurazione del tuo sistema, per cui quello che prima funzionava in un modo adesso funziona in un altro (e va’ a scoprire come), o non funziona affatto, o persino ANDARE IN ERRORE E IMPEDIRE AL TUO PC DI AVVIARSI, come mi è successo qualche sera fa.

Era già partita male, lo scarico degli aggiornamenti si era avviato senza che riuscissi ad impedirlo (ora saprei come farlo, dopo aver studiato il problema, mi sarebbe bastato fermare il servizio di Windows Update… sperando che il sistema mi permettesse di farlo in quel momento), e mi aveva rubato una consistente fetta di banda mentre ero in collegamento Skype con mia figlia a mille chilometri di distanza. Conseguenza: una comunicazione schifosa più del solito, e già in condizioni normali non è che Skype vada tanto alla grande. Ho fatto concludere il download, bello pesante, di oltre un’ora, evitando di spegnere il PC una volta finito quello che avevo da fare (già, era lui che comandava!), per evitare di subire lo stesso scherzetto il giorno dopo, ed atteso che si installasse quanto scaricato… finché non è comparsa una schermata azzurra (non il vecchio blu, adesso è più chiaro) con il messaggio che il computer aveva riscontrato un problema, che sarebbe stato riavviato automaticamente, e che intanto procedeva a raccogliere informazioni sull’errore. Con l’iniziale percentuale di progresso dello 0%. Dopo un’ora era ancora allo 0%. Dopo due ore, idem. A quel punto sono andato a letto sperando di trovare tutto risolto al mattino dopo.

E infatti, al mio risveglio nel giorno successivo, la percentuale era ancora allo zero.

Ho spento, ho riacceso, e di nuovo la stessa schermata, con la stessa percentuale. Non so se i tecnici Microsoft si aspettassero che rimanessi ancora lì in attesa della loro soluzione, ma io dovevo andare in ufficio e non avevo né abbastanza tempo, né abbastanza fiducia, così ho spento di nuovo, e con un po’ di manovre, dopo circa un’ora (per fortuna mi alzo molto presto), sono riuscito a farlo ripartire. Io, che come lavoro faccio l’informatico ed un po’ so come muovermi. Non so cosa avrebbe potuto combinare Francesco Cossiga in un frangente del genere. Magari, scrivere un’altra lettera, con toni un tantinello meno eleganti.

Soluzione, quindi: disattivare gli aggiornamenti di Windows 10, godersi il proprio computer finché ce la fa ad andare avanti, e quando appare un problema che potrebbe essere risolto da un possibile aggiornamento
1. prendersi un giorno libero,
2. fare un backup del sistema (stay tuned, appena posso, giacché ci sono, scrivo un articolo anche su come fare questo), per poter tornare indietro in caso di incidenti tutt’altro che improbabili,
3. riattivare lo scarico delle “patch” (per chi non lo sa, è il termine tecnico usato per chiamare questi programmi correttivi),
4. aggiornare Windows,
5. e tornare a disattivare gli aggiornamenti di Windows 10.

O, perlomeno, senza aspettare che si verifichi qualche problema, programmare di aggiornare in questo modo il tuo PC in maniera controllata ogni tre, quattro mesi. Quando lo decidi tu, e non quando gira a madama Microsoft.

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Chiavetta USB: come proteggerla da scrittura e virus

Oggi lascio sfogare un po’ il mio lato informatico, pubblicando una breve (sembra lunga, ma sono solo le immagini che occupano spazio), e spero utile guida su come proteggere una chiavetta USB da scrittura e virus.

È una mia soluzione originale, anche se ho appena trovato un post in cui la procedura da me individuata veniva già descritta, benché in maniera parziale. Probabilmente, da qualche altra parte, esisterà una versione più completa, e magari anche migliore della mia, ma finora non sono riuscito a trovarla, né prima, quando mi serviva, né ora, per controllare se avessi o no il diritto di gridare “eureka!” Ma se tu, lettore, sei interessato al problema, e sei capitato chissà come in questa pagina, potrai utilizzarla fregandotene altamente di chi sia stato il primo a individuarla.

Persino il mitico Aranzulla su questo tema ha toppato, almeno per quello che mi riguarda: seguendo le sue istruzioni per proteggere una chiavetta USB da scrittura e virus, ho installato un (inutile) programma che sì, lo faceva, ma solo sul mio computer, mentre sugli altri era, come suol dirsi, un porto di mare. In pratica, serviva a proteggere la chiavetta USB giusto da una ipotetica dispettosissima sorellina nei paraggi… che comunque, in mancanza di meglio, avrebbe potuto anche formattarmi il disco fisso.

Il mio problema, penso comune a tanti, era che, come soleva accadere con i vecchi floppy disk buonanima (ma lì esisteva almeno il quadratino per la protezione da scrittura), inserendo la nostra amata pendrive nel computer di qualcun altro, regolarmente infetto, ci si beccava altrettanto regolarmente il virus sul nostro supporto.

È dagli altri PC che dobbiamo difendere la nostra chiavetta USB, non dal nostro.

Altre soluzioni prevedono l’installazione di antivirus e altri software vari (che non ho provato, quindi non so se proteggono la chiavetta come quello di Aranzulla). La mia proposta, invece, utilizza una normale funzione del nostro sistema operativo, e credo sia più sicura di qualsiasi antivirus che, oltre a non essere perfetto già di per sé (sappiamo benissimo che l’antivirus perfetto non esiste), sin dal momento in cui lo installiamo è già vecchio, perché nel tempo che gli esperti impiegano per pubblicarlo su Internet, e noi per scaricarlo ed installarlo, sono stati prodotti almeno tre o quattro virus nuovi.

La prova è stata effettuata con Windows 10, ma dovrebbe funzionare anche con sistemi più vecchi. Il tizio che l’aveva pubblicata prima aveva usato addirittura un altro buonanima, il rimpianto XP. Come sosteneva quell’autore, cosa che ho appena verificato, la chiavetta USB va però formattata in formato NTFS. Questo perché i formati precedenti (FAT e FAT32) non sono dotati della funzionalità che ci serve.

Nell’immagine sotto si può vedere come, cliccando con il tasto destro del mouse sull’icona di una chiavetta USB (la mia era fresca di formattazione), compaia il classico menù contestuale, sul quale scegliere “Proprietà”.

chiavetta USB

Nel box “Proprietà – Unità USB” che si apre, selezioniamo la scheda “Sicurezza” (che non esiste nei formati FAT). In questa scheda (vedi sotto), nella casella “Utenti e gruppi”, viene visualizzato l’elenco degli utenti (o gruppi) che hanno l’autorizzazione ad accedere alla chiavetta. Per farci cosa, è descritto nella casella sotto. Al momento c’è un solo elemento, indicato con la dicitura Everyone, cioè “chiunque”, con le autorizzazioni a leggere, eseguire, scrivere e modificare il suo contenuto. Queste sono le impostazioni di default, che ci consentono di scambiare qualsiasi cosa (dati, programmi, virus…) fra un computer ed un altro senza alcun problema. Comodo… tranne che nel caso dei virus.

chiavetta USB

Clicchiamo, sul tasto con l’etichetta “Modifica…” (cerchiato nella immagine di sopra) e, come mostrato nella figura sotto…

chiavetta USB

… eliminiamo, nel box di modifica delle “Autorizzazioni per Unità USB”, i segni di spunta nelle caselle (cerchiate in figura) relative a “Controllo completo”, “Modifica” e “Scrittura”. A questo punto clicchiamo su “OK” in questo e nel box delle proprietà, e la nostra pennetta è bell’e protetta.

Ah, un avvertimento: facciamo in modo che nella chiavetta USB ci sia almeno un file, altrimenti Windows dà un messaggio di errore (superfluo, fra l’altro, perché funziona tutto benissimo lo stesso).

Se proviamo a copiare qualcosa al suo interno, il sistema operativo ci risponde come mostrato sotto.

chiavetta USB

In pratica, d’ora in poi, sarà impossibile scrivere o cancellare qualcosa su questa chiavetta USB. Si potrà leggere, copiare file “da” essa, lanciare un eventuale eseguibile, ma niente modifiche al suo contenuto. Con buona pace degli amici virus che cercheranno invano di scriverci sopra quello che serve a loro.

E questo era quanto descritto sul post che sono riuscito a trovare al riguardo. Post cercato e trovato, comunque, DOPO aver risolto la cosa per mio conto.

Obiezione: ma così non potrò aggiungere o modificare niente neanche io!

Risposta… o meglio, risposte: la prima, quella che immagino avrebbe dato l’autore dell’articolo, visto che qui si è fermato, sarebbe quella di fare il processo inverso: tornare alle proprietà della chiavetta USB, nella scheda “Sicurezza” modificare di nuovo le autorizzazioni e rimettere, provvisoriamente, il segno di spunta sul controllo completo; caricare, modificare o cancellare quanto necessario; e poi tornare a proteggerla come descritto prima.

Una bella palla, insomma.

Seconda risposta, e questa porta la mia firma: torniamo a “Proprietà”, scheda “Sicurezza”, click su “Modifica…”

chiavetta USB

… ma stavolta, nel box che si apre, lasciamo in pace le “Autorizzazioni per Everyone” e clicchiamo sul pulsante “Aggiungi”

chiavetta USB

Si presenta il riquadro mostrato sotto. Come dice l’intestazione, questo box consente di selezionare utenti e gruppi da aggiungere. Nella casella con la dicitura “immettere i nomi ecc.”, cerchiata nella figura, scriviamo il nome dell’utente che utilizziamo sul nostro computer, e che presumibilmente sarà l’utente che stiamo utilizzando per questa procedura, e diamo l’OK. Nel mio caso, quando ho installato Windows sul computer che sto usando, ho scatenato senza freni la mia inventiva e ho dato il nome “user” all’utente che stavo definendo e che avrei usato su quel computer. Immagino che la vostra fantasia, in quel momento, avrà dato prova di maggiore creatività.

chiavetta USB

Ci troviamo di nuovo nel box delle Autorizzazioni per unità USB”, che però presenta ora un elenco composto da due elementi, il vecchio Everyone, ed il nuovo utente “user”… o meglio, “user” nel mio caso. Nel vostro caso, sarà il nome del vostro utente. Adesso selezioniamo il nuovo arrivato, mettiamo, sotto, il segno di spunta nella casellina “Controllo completo”, e chiudiamo il tutto cliccando sugli OK che ci vengono proposti.

chiavetta USB

Proviamo adesso a copiare qualcosa sulla chiavetta USB… et voilà, il file viene trasferito senza alcuna protesta da parte di Windows.

chiavetta USB

Attenzione, dunque, la situazione ora è questa: siamo liberi di fare quello che vogliamo sulla nostra chiavetta USB con il NOSTRO PC e con l’utente che abbiamo indicato. Se inseriamo la chiavetta USB in un altro computer, o sul nostro stesso ma collegandoci con un eventuale altro utente, la chiavetta USB è protetta, e non sarà possibile in alcun modo modificarne il contenuto… e quindi scriverci o cancellare o modificare alcunché. Esattamente il contrario di quello che consentiva di fare l’articolo di Aranzulla. Quindi, a meno che non abbiamo qualche sorella dispettosa in casa…

Ah, un’ultima cosa: è chiaro che questa procedura funziona solo nel caso in cui colleghiamo la chiavetta USB ad un altro PC se dobbiamo usare qualche eseguibile o leggere/copiare qualche file già contenuto nella pennetta.

Ma se dobbiamo prelevare qualcosa dal PC ospite e metterla sulla nostra chiavetta USB?

Ovviamente, in questo caso, sarà necessario avere la possibilità di scrivere sulla pendrive, e questo non potrà salvarci da nessun virus. La soluzione ideale (o, perlomeno, non ne vedo altre) è quella di usare una chiavetta USB vuota per questo tipo di operazione, con le impostazioni di default: se ci becchiamo il virus, e l’antivirus che abbiamo a casa sul nostro PC è in grado di scovarlo, basterà pulire il supporto, se l’antivirus è in grado di farlo, o semplicemente formattare la chiavetta USB. Se non altro, perderemo solo la porcheria che avremo imbarcato sull’altro PC, e non tutta la roba che ci portiamo solitamente dietro.

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Una dritta per vincere il referendum

Una dritta per vincere il referendum“Se Renzi perde non è obbligato a dimettersi.”

Trovo il post su Facebook. Quel “perde” è riferito, ovviamente, al referendum cosiddetto “di ottobre”. Una dichiarazione che, secondo la notizia, avrebbe fatto Casini, inevitabilmente e giustamente commentata con la solita sequenza di bestemmie, insulti e parolacce.

Non so se è vero. Purtroppo, Facebook è diventato (o lo è sempre stato?) un eccezionale veicolo per bufale di ogni genere, in particolare di tipo politico, cosa davvero controproducente visto che certe falsità attribuite ai vari personaggi appartenenti a quel mondo alla fine, una volta scoperte non vere, giocano a favore della reputazione di quei personaggi medesimi. Tant’è che a volte mi chiedo se sono gli stessi spin doctor della Boldrini a divulgare affermazioni talmente stupide, odiose e provocatorie a lei imputate che mi rifiuto di credere che possano essere autentiche.

In ogni caso, l’episodio mi offre lo spunto per qualche altra riflessione a proposito del referendum.

Non sono d’accordo con la dichiarazione che (secondo il post) avrebbe fatto Casini. Non so se anche il suo spin doctor utilizza certi mezzucci. Per ovvi motivi: come ho già spiegato in un mio precedente scritto ( http://blog54.altervista.org/referendum-la-personalizzazione-renzi/), quel “se perdo vado a casa”, anche se poi è stato trasformato in una micidiale e pericolosa personalizzazione, sarebbe la frase più seria che un manager con un minimo di dignità potrebbe pronunciare nella prospettiva che il suo lavoro venga bocciato, o comunque si dimostri sbagliato. Se Renzi se lo rimangiasse, perderebbe, oltre al referendum, anche la faccia. In maniera oggettiva, intendo. Che la faccia possa averla già persa per il suo operato è una considerazione puramente soggettiva e, da chi non fosse d’accordo, se non altro contestabile.

Come ho già detto, io sono per il Sì, e poiché temo che quella maledetta personalizzazione possa farci perdere una preziosa occasione di risparmiare almeno trecento stipendi da ventimila euro al mese, di cui pare circa metà esentasse, vorrei suggerire al nostro presidente del consiglio una dritta per riparare al danno fatto con la sua onesta, ma inopportuna, promessa. Spero che qualcuno dei lettori di questo scritto possa segnalargliela in qualche modo, così che abbia almeno la possibilità di valutarla.

Una dritta esattamente opposta a quella attribuita a Casini: dimissioni anche in caso di vittoria.

Potrebbe sembrare un controsenso, ma a mio avviso una decisione di questo tipo, oltre ad essere perfettamente coerente, avrebbe una duplice valenza.

La prima, la più importante, sarebbe quella di riparare in maniera dignitosa all’errore commesso con quella personalizzazione, e invalidare il principale motivo di scelta per il NO, cioè avere la possibilità di mandare a casa un personaggio che, certamente, a torto o a ragione, non a tutti è simpatico. In questo modo gli italiani potrebbero concentrarsi sul vero tema della votazione, e chissà, magari capire che quella riforma, se pure non è perfetta, è meglio che niente. Poi si potrà anche perfezionare, magari, ma intanto ci prendiamo qualcosa che è sicuramente più adeguato ed economico di quello che c’è adesso. Bocciarla significherebbe restare nell’attuale palude continuando a sperperare tempo e denaro. A proposito dell’Italicum, suggerirei agli indecisi di chiedere agli spagnoli cosa ne penserebbero, se gli andrebbe bene una soluzione come quella, o se preferiscono passare altri anni a tornare ripetutamente a votare per riuscire ad imbroccare un risultato che consenta loro la costituzione di un governo.

La seconda motivazione sarebbe perfettamente conforme e consequenziale all’eventuale risultato positivo della consultazione. Una volta stabilite delle regole, in un mondo che ne è privo o, se le ha, sono poco razionali, perché non applicarle subito? Perché non tornare immediatamente alle urne e farle funzionare? Per risparmiare, intanto, un altro paio d’anni di stipendi d’oro a trecento “onorevoli” che tardano o addirittura bloccano qualunque provvedimento (tranne quelli a loro esclusivo beneficio, ma questo è un altro discorso), ma anche per avere subito una forza di governo scelta dai cittadini, con veri poteri e niente alibi, senza coalizioni che sembrano inciuci (anche se nutro per Alfano una certa ammirazione per il coraggio dimostrato nel dire no al suo dio per evitare l’ulteriore disastro di nuove e probabilmente altrettanto inutili elezioni), e portare finalmente un po’ di chiarezza nel nostro quadro istituzionale.

Ovviamente, in questa seconda ipotesi, Renzi potrebbe e dovrebbe candidarsi di nuovo. E magari (ma questo è solo un mio pio desiderio) togliere dalle liste, impedendo loro di poter essere ancora presenti sulla nostra scena politica, quegli inqualificabili individui che oggi costituiscono la minoranza del partito, e che fino a ieri, essendone alla guida, hanno consentito con la loro mancanza di credibilità e la loro inadeguatezza ad un personaggio come Silvio Berlusconi di fare il bello e cattivo tempo per vent’anni. Ma tornare a candidarsi non significa vincere, per cui quelli che vorrebbero vederlo in pantofole avrebbero comunque una chance per levarselo di torno. E poi che dire? Vinca il migliore!

(Vinca il migliore? Già, stavolta l’ho proprio sparata grossa!)

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